Il campo delle diete e dell’alimentazione è ricco di informazioni che arrivano da molti canali diversi: social media, televisione, riviste, esperti o presunti tali che propongono diete innovative che promettono dimagrimenti miracolosi in tempi record, alimentando la speranza che questo sia possibile e che finalmente questa sarà la volta buona. Troviamo di tutto, dalla dieta chetogenica, alla dieta Zona, Atkins, Tisanoreica, e così via e tutti condividono in linea di principio una riduzione giornaliera della percentuale di carboidrati previsti dalla dieta mediterranea, a vantaggio di grassi e proteine. Le diete a basso contenuto di carboidrati hanno una lunga storia: gli olimpionici greci 2000 anni fa mangiavano molta carne per migliorare la performance sportiva; nel 1863 un opuscolo a cura del dr. Banting dal titolo Letter on Corpulence, Addressed to the Public incoraggiava una dieta di carne, verdura, frutta per perdere peso che è diventata la base sulla quale vengono impostate le più moderne diete iperproteiche che hanno avuto grande popolarità a partire dagli anni ’70. La verità è che le linee guida delle più importanti società scientifiche internazionali raccomandano una lenta e graduale perdita di peso che dovrebbe variare tra 0,5 e 1 kg alla settimana, un monitoraggio costante dell’alimentazione, del peso e dell’attività fisica e l’adozione di una dieta flessibile che comprenda la giusta proporzione di tutti i nutrienti principali (carboidrati, proteine e grassi), limitandone le quantità in modo da creare un bilancio energetico negativo necessario per poter perdere peso. La parola chiave diventa la sostenibilità della dieta, ovvero l’adozione di uno stile alimentare che possa essere portato avanti nel lungo termine senza particolari restrizioni dietetiche, in modo da poter mantenere l’eventuale peso perso, cosa che spesso non viene garantita da diete fortemente restrittive e sbilanciate, che sono oltretutto spesso il fattore precipitante di un disturbo alimentare. Una metanalisi di 29 studi che indagano la perdita di peso a lungo termine evidenzia come più del 50% del peso viene recuperato entro 2 anni e l’80% entro 5 anni.

Le diete a basso contenuto di carboidrati (spesso scelte dalle persone con un disturbo alimentare) promettono perdite rapide di peso nel breve termine e questo è vero in quanto se una dieta ben bilanciata produce un deficit dietetico di 500 kcal al giorno che permette di perdere circa 0,5 kg a settimana, le diete iperproteiche fanno perdere 2-3 kg nella prima settimana, creando entusiasmo ma anche alte aspettative e speranze. Questa maggiore perdita di peso è dovuta ad un aumento della diuresi e, conseguentemente, una riduzione della sensazione di gonfiore. Quindi questa maggiore perdita di peso, legata a una maggiore perdita di acqua nel corpo, è limitata alla prima settimana, successivamente la perdita di peso va di paro passo con le regole del bilancio energetico e non della composizione della dieta. Questo vuol dire che a parità di bilancio energetico, il fatto che una dieta sia iperproteica o mediterranea, non ha influenza sul peso perso (Johnstone et al., 2014). La dieta mediterranea si associa a importanti benefici sulla salute, come la prevenzione di malattie cardiovascolari e di alcuni tumori.

Queste informazioni sono importanti anche alla luce del lavoro che come psicoterapeuti dovremmo affrontare con le pazienti affette da un disturbo alimentari, disturbi caratterizzati da preoccupazioni eccessive nei confronti del peso, della forma del corpo e dell’alimentazione, che seguono regole dietetiche rigide e estreme che, se portate avanti in modo costante portano a sintomi da malnutrizione e sottopeso caratteristici dell’Anoressia Nervosa o, se interrotti da perdite di controllo sull’alimentazione (abbuffate) esitano nella Bulimia Nervosa e nel Binge Eating. Il lavoro di riabilitazione nutrizionale con queste pazienti è una parte importante del trattamento e una strategia fondamentale nell’ambito della terapia cognitivo-comportamentale migliorata (CBT-E) e prevede l’adozione dell’alimentazione regolare strutturata in 3 pasti più 2 spuntini pianificati in anticipo in modo da ridurre il rischio delle abbuffate, le preoccupazioni per l’alimentazione, la sensazione di pienezza (legata al ritardo nello svuotamento gastrico) e dare struttura alla giornata alimentare. Qualsiasi dieta che preveda ulteriori restrizioni (es. nei carboidrati) non solo non è utile ma è addirittura dannosa con queste pazienti (ad eccezione di quelle che hanno un’indicazione medica per dover eliminare alcuni alimenti, es. per allergie o celiachia), il cui obiettivo è uscire da un disturbo dell’alimentazione e quindi portare avanti un’alimentazione flessibile e sostenibile, riducendo le preoccupazioni tipiche del disturbo, conseguenza dell’eccessiva valutazione di peso, forma del corpo e alimentazione e del loro controllo. Aiutare le pazienti ad affrontare i fattori di mantenimento del disturbo significa aiutarle a superare la paura che certi alimenti abbiamo un potere ingrassante di per sè, a pesarsi una volta a settimana per non dare valore pesandosi troppo frequentemente a minime variazioni di peso legate ai cambiamenti nello stato idrico del corpo, ridurre le preoccupazioni per la forma del corpo insegnando loro a guardarsi in modo realistico, investire e trarre piacere da altri ambiti di vita fonte di autostima come le relazioni sociali, danneggiate profondamente dal disturbo alimentare.