Psicologa Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale Pisa e provincia

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ragazza che si abbuffa di fronte a abbondanza di cibo

Il ruolo dell’eccessiva valutazione del peso e del corpo nel Binge Eating Disorder

Non tutte le persone in forte sovrappeso o affette da obesità hanno un disturbo alimentare in comorbidità.

I disturbi alimentari (DCA), qualsiasi sia la diagnosi, sono caratterizzati da un nucleo psicopatologico specifico che è l’eccessiva valutazione di peso e forma del corpo; tali aspetti influenzano in modo pervasivo autostima, identità e comportamento. La letteratura scientifica ha messo in evidenza come ci siano differenze significative tra persone affette da obesità senza DCA e persone affette da binge eating disorder (BED) e obesità, in termini di gravità dei sintomi alimentari (abbuffate e alimentazione eccessiva e discontrollata) e di sintomi psichiatrici (ansia, depressione, ecc).

Una review recente (Melisse & Dingemens, 2025) che ha analizzato gli studi sull’argomento, ha tratto diverse conclusioni: i livelli di ipervalutazione di peso e forma del corpo per gli individui con un indice di massa corporea similmente alto, era più alto in quelli con BED rispetto a quelli con obesità senza DCA. Gli individui con BED condividevano con anoressia e bulimia nervosa gli alti livelli di distress psicologico legato alle eccessive preoccupazioni sul peso e sul corpo. Per questa ragione gli autori suggerirebbero di inserire tra i criteri diagnostici del BED l’eccessiva influenza che peso e corpo hanno sui livelli di autostima, criterio già presente nell’AN e BN sia nell’ICD-11 sia nel DSM-5 e importante perchè predice la gravità della patologia alimentare e della psicopatologia in comorbidità. In questo modo è possibile indirizzare il trattamento in modo più specifico, distinguendo i problemi legati al peso e all’alimentazione che non coinvolgono temi identitari legati all’autostima, da quelli che si strutturano come un vero e proprio disturbo alimentare.

 

 

 

Binge eating, perfezionismo e ansia sociale

Il binge eating, il consumo incontrollato di una grande quantità di cibo in un arco di tempo di due ore, è un sintomo diffuso nei disturbi alimentari, che può avere effetti dannosi sulla salute fisica e mentale delle persone, come un aumentato rischio di obesità e di altri disturbi psichiatrici. E’ un sintomo chiave sia della bulimia nervosa che del disturbo da alimentazione incontrollata, o binge eating disorder in inglese, ma può essere presente anche nell’anoressia nervosa o in altri disturbi della nutrizione o dell’alimentazione, in accordo con il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (APA; DSM-5, 2013). Una migliore comprensione dello sviluppo e del mantenimento delle abbuffate è importante per ridurne gli effetti negativi e, inoltre, questo potrebbe contribuire alla prevenzione e al trattamento dei disturbi alimentari. La ricerca ha evidenziato che diversi fattori cognitivi, affettivi, psicologici e di personalità rappresentano dei fattori di rischio per lo sviluppo di questi disturbi e contribuiscono al loro mantenimento. Un modello che spiega lo sviluppo e il mantenimento delle abbuffate afferma che il perfezionismo porta gli individui a impegnarsi in una dieta rigida ed estrema che, a sua volta, provoca le abbuffate (Sherry & Hall, 2009; Mackinnon et al., 2011). Secondo questo modello la relazione tra perfezionismo e binge eating è mediata dalla dieta restrittiva, ovvero la tendenza a ricercare rigidamente la perfezione e a non tollerare l’errore o “il meno perfetto” è probabile che porti le persone a impegnarsi nella dieta seguendo regole rigide, estreme e numerose che prevedono l’esclusione di alcuni cibi (definiti “tabù” perchè potenzialmente ingrassanti), rigidi limiti calorici, il digiuno, il mangiare entro una certa ora, e così via, che porteranno inevitabilmente all’abbuffata, per fame, per desiderio impellente (craving) di tutto ciò di cui è stato privato forzatamente l’organismo, soprattutto se in contemporanea si verificano eventi che provocano emozioni negative, le quali vengono gestite attraverso l’abbuffata. IL perfezionismo può essere definito come un tratto di personalità (una caratteristica stabile delle persone) che caratterizza quelle persone che si sforzano di ottenere il livello più alto possibile di standard e aspettative, evitando contemporaneamente errori e imperfezioni. Per una persona perfezionista, la dieta può essere un comportamento da seguire secondo degli standard rigidi di perfezione e dove l’immancabile fallimento delle aspettative (es. “avrei dovuto evitare il dolce, invece non ho resistito, tanto vale che mi abbuffi e mangi tutti i dolci del buffèt”) scatena l’abbuffata, come tentativo di scappare da uno stato emotivo interno spiacevole e doloroso. Pertanto la restrizione dietetica indurrebbe le abbuffate attraverso una deprivazione percepita che porta a un’ iperalimentazione compensatoria. A questo proposito è utile distinguere due tipi di restrizioni dietetiche: una restrizione dietetica calorica (assumere con la dieta un contenuto calorico al di sotto del fabbisogno fisiologico) e una restrizione dietetica cognitiva (le regole alimentari che devono essere seguite). Questa seconda caratteristica, sebbene possa essere associata a un normopeso e/o  a un regime alimentare non restrittivo da un punto di vista calorico/alimentare, è un fenomeno cognitivo che riveste un ruolo importante nel mantenimento delle abbuffate e pertanto deve essere affrontato e ridotto nel trattamento.

Un altro fattore che potrebbe essere rilevante per il binge eating è l’ansia sociale. La letteratura scientifica supporta l’associazione tra disturbi alimentari e ansia sociale. Otrovsky et al. ( 2013) hanno trovato che  individui obesi con un disturbo da alimentazione incontrollata (DAI) avevano più elevate percentuali di ansia sociale in comorbidità rispetto alla popolazione generale o a individui obesi senza  DAI.

Una specifica forma di ansia sociale che è stato dimostrato essere associata sia alla bulimia nervosa che all’anoressia è l’ansia per il proprio aspetto sociale, ovvero il timore di un giudizio globale sul proprio aspetto che sembra influenzare e mantenere nel tempo il disturbo e che quindi deve essere discusso all’interno di un trattamento  (Dakanalis et al., 2016; Levinson & Rodebaugh, 2012; Levinson et al., 2013).

La terapia cognitivo-comportamentale rappresenta il gold standard per il trattamento di questi disturbi, affrontando i meccanismi cognitivi, affettivi e comportamentali che mantengono i sintomi del disturbo. Accanto a fattori comuni a tutti coloro che hanno un disturbo alimentare (dispercezione corporea, restrizione dietetica alimentare e/o cognitiva, check del peso e del corpo, sensazione di grassezza, pensieri distorti sul cibo, peso e corpo, ecc) ci sono differenze individuali legate a specifici tratti o veri e propri disturbi di personalità in comorbidità, livelli diversi di gravità nella regolazione emotiva, nel controllo e perfezionismo che devono essere prese in considerazione sia per poter individualizzare il più possibile il trattamento, sia per poter regolare la relazione terapeutica e lavorare anche in ottica di prevenzione delle ricadute nel lungo periodo.

 

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