Psicologa Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale Pisa e provincia

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L’ortoressia nervosa: l’ossessione per il cibo sano

Sta sempre più crescendo l’interesse pubblico e mediatico verso stili di vita salutari, corrette abitudini alimentari, che sono utili per migliorare il benessere e contrastare l’obesità, sempre più diffusa in Italia anche in infanzia e adolescenza. Accanto a una corretta informazione scientifica, esistono anche contenuti mediatici lanciati da celebrità o presunti esperti che invitano a diete prive di latticini, glutine, carboidrati, ecc. che possono influenzare in modo negativo le abitudini alimentari delle persone e quindi destano preoccupazione.

Sta crescendo sempre più l’interesse verso una vera e propria condizione patologica, sebbene non sia inserita nelle diagnosi del DSM-5 (APA, 2013) e dell’ICD-11, che è l’ortoressia, una condizione caratterizzata da un’ossessione per il cibo sano, pulito, decontaminato, biologico, che porta a isolamento sociale, sensi di colpa, ansia e frustrazione se per qualche ragione il soggetto è impossibilitato a cibarsi dei cibi prescelti. La rigidità che caratterizza le scelta alimentare di questi soggetti comporta l’investimento di una grande quantità di tempo per pianificare e preparare i pasti, sensi di colpa se si mangia in modo “non salutare”, evitamento di pasti fuori casa, esclusione di molti cibi che può portare anche a malnutrizione per difetto. Rispetto alle diagnosi ufficiali dei disturbi alimentari (Bulimia, Anoressia, BED), l’ortoressia nervosa sembra essere più equamente distribuita tra uomini e donne. Inoltre, a differenza di altri DCA, ad essere centrale in questa malattia è la qualità del cibo e non tanto la quantità, lo scopo non è tanto la magrezza, ma la purezza del cibo e la propria salute fisica. Le preoccupazioni per la forma del corpo sono meno prominenti. Condivide con l’AN e con il disturbo ossessivo-compulsivo, l’ansia e il perfezionismo. Questo ultimo aspetto rappresenta un fattore di rischio per l’ortoressia dal momento che, se per seguire una dieta salutare è necessario avere auto-controllo, la persona perfezionista adotterà regole molto rigide, che caratterizzano i soggetti ortoressici.

Anche l’ansia è considerata un fattore di rischio per l’ortoressia nervosa, dal momento che i soggetti affetti hanno preoccupazioni intense sulla propria salute fisica e sono terrorizzati all’idea di consumare cibo poco salutare. L’ansia per la salute è stato ipotizzato come un fattore correlato e predittivo dell’ortoressia nervosa (Kiss-Leizer et al., 2019; Tóth‐Király et al., 2020).  In questo senso i sintomi ortoressici potrebbero essere concettualizzati come meccanismi di coping per l’eccessiva preoccupazione per lo sviluppo di malattie. Sembra essere pertanto presente una relazione tra ansia per la salute, perfezionismo e ortoressia.

Data la gravità della condizione è fondamentale richiedere aiuto ad un professionista esperto di disturbi alimentari qualora ci sia il sospetto di soffrire di questa malattia che può deteriorare la salute fisica, aspetto centrale in questi soggetti, a causa della mancanza di nutrienti e dell’esclusione di molti cibi fondamentali dalla dieta. Inoltre la relazionalità è spesso limitata se non evitata totalmente a causa della difficoltà ad adattarsi flessibilmente a mangiare cibi diversi da quelli considerati “sani”. Al momento attuale la terapia cognitivo-comportamentale per i DCA è il golden standard.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La sindrome da alimentazione notturna

La sindrome da alimentazione notturna (Night Eating Syndrome; NES) è un disturbo inserito nella sezione dei Disturbi della Nutrizione e della Alimentazione del DSM-5 (APA, 2013) tra i disturbi alimentari con altra specificazione. Descritta per la prima volta nel 1955 da Albert Stunkard come un disturbo caratterizzato da alimentazione eccessiva durante le ore serali e durante la notte, umore basso durante la sera, insonnia e anoressia mattutina. I criteri diagnostici includono: 1) assumere più del 25% delle Kcal giornaliere dopo cena o avere almeno due episodi di alimentazione notturna alla settimana. I pazienti devono ricordare e descrivere gli episodi. Inoltre devono essere presenti almeno tre dei seguenti sintomi: frequente inappetenza mattutina, spinta a mangiare nel periodo che va da dopo cena a prima di coricarsi o durante la notte, insonnia, convinzione che mangiare aiuti a riprendere il sonno e umore che peggiora nella sera. Il disturbo causa notevole stress e una riduzione dell’efficienza quotidiana e deve durare almeno tre mesi. Devono essere escluse cause mediche, farmacologiche, uso di sostanze o altri disturbi psichiatrici che possono spiegare i sintomi. E’ un disturbo piuttosto comune, la prevalenza è di circa 1.1-1.5% della popolazione, di cui un range che va dal 6 al 16% soffre di obesità e una percentuale che va dal 5 al 44% soffre di disturbi alimentari in comorbidità. L’intento di questo articolo è quello di sintetizzare la letteratura scientifica sull’argomento in particolare in merito alle possibili cause e ai potenziali trattamenti disponibili, tenendo in considerazione i dati ancora scarsi e i campioni di studio non sempre rappresentativi poichè poco numerosi.

Per quanto riguarda possibili meccanismi causali, gli studi di Stunkard (2009) hanno messo in luce delle alterazioni nel ritmo circadiano (che regola funzioni come l’appetito, la secrezione ormonale, il sonno, la sazietà, la temperatura corporea); i soggetti affetti da NES mostrano un ritardo nella secrezione di grelina, leptina e cortisolo, che giocano un ruolo cruciale nel controllare appetito, sazietà e sonno. Questa disregolazione nel ritmo sonno-veglia e nell’appetito, porta ad un’assunzione eccessiva di cibo nelle ore serali e notturne, compromettendo la qualità del sonno e riducendo l’appetito durante il giorno.

Sono state ipotizzate anche alterazioni ormonali come una maggiore quantità di cortisolo, causato da stress cronico che, da un punto di vista biologico, si associa a una maggiore fame e assunzione di cibo, soprattutto ad alto contenuto di zuccheri e grassi e a una riduzione del sonno. Gli individui affetti da NES spesso riportano che i sintomi sono comparsi a seguito di un periodo altamente stressante.

Per quanto riguarda i fattori psicologici implicati nella NES, la ricerca ha messo in luce una elevata comorbidità tra NES  e altre psicopatologie, in particolare depressione, disturbi d’ansia e disturbo da uso di sostanze. Queste comorbidità riguardano in generale tutti i disturbi alimentari. Sono presenti comorbidità tra NES e altri disturbi alimentari, in particolare il BED. Le presentazioni in comorbidità rendono più complessi i trattamenti.

La regolazione emotiva può essere descritta come un insieme di capacità che coinvolgono. 1) la capacità di accettare ed essere consapevoli delle proprie emozioni 2) DI rimanere focalizzati sull’obiettivo inibendo i comportamenti impulsivi quando le emozioni negative aumentano; 3) usare strategie appropriate per modulare l’intensità o la durata dell’esperienza emotiva. Una buona regolazione emotiva si associa a una buona sapute psicologica, a un buon funzionamento relazionale, mentre difficoltà in quest’area spesso correlano con un rischio maggiore di soffrire di disturbi mentali, tra cui i disturbi alimentari. Le abbuffate e le restrizioni sono considerate strategie di coping maladattive di evitamento o di soppressione di stati emotivi dolorosi che non vengono identificati e regolati in modo funzionale. Invece di fronteggiare gli stati emotivi dolorosi, chi soffre di DCA tende a evitarli e sopprimerli, aumentando il rischio di ricadute e peggiorando le condizioni psicologiche. La NES potrebbe essere inquadrata come un meccanismo di coping di stati mentali dolorosi legati ad altri aspetti del proprio funzionamento psicologico/personologico che vengono attivati da situazioni esterne (relazionali, lavorative, ambientali). Gli episodi di alimentazione notturna potrebbero fornire un sollievo momentaneo da stati dolorosi, alterando però il ritmo circadiano e provocando ulteriore stress (colpa, vergogna) nel lungo termine.

Sono stati inoltre individuati due tratti di personalità come possibili fattori di rischio coinvolti in diversi disturbi mentali tra cui quelli alimentari: il neuroticismo (tendenza a sperimentare emozioni negative, insicurezza e vulnerabilità) e l’impulsività (spesso correlata con comportamenti rischiosi, come uso sostanze e perdite di controllo sul cibo come le abbuffate). Gli individui con più alti livelli di impulsività potrebbero essere più a rischio di sviluppare abbuffate notturne.

E’ utile fare una distinzione tra  BED e NES, sebbene possano presentarsi in comorbidità. Se nel BED è possibile che possano avvenire episodi di abbuffata nella notte o dopo cena, questa peculiarità temporale non è una caratteristica centrale del BED, dove gli episodi di alimentazione eccessiva e discontrollata avvengono perlopiù durante il giorno. Inoltre nel BED la quantità di cibo consumata durante le abbuffate è significativamente più elevata rispetto alla NES, le preoccupazioni per la forma del corpo e del peso sono più intense nel BED, non ci sono alterazioni nel ritmo circadiano.

L’insonnia, in genere iniziale e centrale, è correlata alla NES, pertanto è necessario tenerla in considerazione nel trattamento di questi pazienti. L’insonnia e i disturbi del sonno possono precedere il disturbo alimentare o questo può essere un trigger di difficoltà del sonno. La diagnosi differenziale con disturbi alimentari-legati al sonno come lil Night Sleep-Related Eating Disorder (NS-RED)  viene fatta tenendo conto conto della consapevolezza e memoria degli episodi di alimentazione notturna, laddove nella NES c’è il ricordo, nel NS-RED, gli episodi di abbuffata avvengono a seguito dei risvegli notturni, ma in assenza o con scarsa consapevolezza da parte del soggetto.

Per quanto riguarda il trattamento, la terapia cognitivo-comportamentale è stata proposta come un trattamento empiricamente supportato che può dare buoni risultati. La scheda di auto-monitoraggio per identificare la relazione tra l’alimentazione, i pensieri e  le emozioni è molto utile, così come l’apprendimento di strategie di regolazione emotiva adattive. La ricerca dovrà darci ulteriori risposte in merito ai fattori causali e ai trattamenti più efficaci.

 

 

 

 

 

Social media, immagine e corporea e sintomi alimentari

I disturbi alimentari sono un gruppo eterogeneo e molto invalidanti di condizioni psichiatriche che danneggiano in modo significativo il funzionamento psicologico e sociale della persona che ne soffre. Caratterizzati da un’alterazione dell’immagine corporea e preoccupazioni intense legate all’alimentazione e al peso, si manifestano con comportamenti alimentari persistenti e disfunzionali. Avere un disturbo alimentare aumenta la probabilità di soffrire di qualche disabilità medica (malattie cardiovascolari, ridotta densità ossea, ecc) e psichiatriche in comorbidità (ansia, depressione, sintomi ossessivi, ecc). L’anoressia nervosa è il disturbo psichiatrico con il tasso più elevato di mortalità (per suicidio o grave denutrizione).  L’incidenza più elevata la troviamo nei giovani adolescenti, soprattutto donne, anche se stanno aumentando i casi di adolescenti maschi ossessionati dal corpo, dai muscoli o dalla magrezza. Si riscontrano aumenti anche negli atleti e nelle minoranze di genere e sessuali.

Rispetto ai fattori di rischio implicati, non ne esiste uno solo, ma un complesso eterogeneo di fattori biologici, sociali, psicologici che creano una vulnerabilità allo sviluppo di un DCA. Tra questi fattori, l’immagine corporea è stata individuata dalla ricerca come uno dei predittori più potenti di sintomatologia alimentare. Essa riguarda il modo in cui pensiamo, sentiamo e agiamo nei confronti del nostro corpo e raramente è una fedele riproduzione dello schema corporeo, piuttosto gli individui con DCA tendono a guardarsi con la lente dei dismorfismo, trovando molti difetti, sentendosi grassi e orribili. Il tentativo di correggere i difetti percepiti nel corpo spinge le persone a intraprendere diete rigide.

Una revisione recente della letteratura su social media, immagine corporea e disturbi alimentari clinici e subclinici  nei giovani adolescenti, ha cercato di rispondere al quesito se i social media possono essere un fattore di rischio plausibile per lo sviluppo di disturbi dell’immagine corporea e problemi alimentari, considerando che attualmente l’uso dei social media è aumentato in modo esponenziale nei giovani, a livello globale. Studi recenti hanno stimato che che il 91% dei ragazzi americani e britannici usano regolarmente i social media e che più della metà li controllino almeno una volta ogni ora. La review ha concluso che un alta frequenza nell’uso dei social è correlata a insoddisfazione corporea, attraverso due fattori di mediazione che sono i confronti sociali con corpi magri ideali e l’interiorizzazione dell’ideale di magrezza del corpo. In modo particolare piattaforme focalizzate sull’apparenza, come Instagram, sono significativamente associate a preoccupazioni sull’immagine corporea, patologie alimentari, ansia e depressione.

Possiamo trovare alcune spiegazioni di questa associazione partendo da alcune teorie che sono state proposte:

  1. Teoria socio-culturale: postula che gli agenti sociali (pari, famiglia, società) trasmettono un forte bisogno di conformarsi agli ideali estetici della società. Confronti online con corpi ideali porta a interiorizzare questo standard perfezionistico che favorisce l’adozione di diete e l’istaurarsi di circoli viziosi restrizioni-abbuffate.
  2.  Auto-oggettivazione  e teorie femministe: l’ipotesi è che in una società ossessivizzata dall’apparenza, le donne sono educate a interiorizzare una prospettiva di osservazione di sè in terza persona, che le spinge a un continuo check del corpo, insoddisfazione corporea e sintomi alimentari. I social offrono opportunità di postare immagini di sè che sono soggette a feedback e controllo (like, commenti).
  3. Gestione dell’impressione: teoria che ipotizza che i social danno l’opportunità alle persone di creare un’immagine ideale di sè online, sfruttando i vari filtri e ritocchi e la discrepanza tra questa e l’immagine reale favorisce l’aumento di preoccupazioni estetiche e a tentativi di correzione attraverso diete e altri mezzi.

 

Quanto emerso da questa review invita tutti a una riflessione importante che chiama in causa le figure sanitarie e le istituzioni che a vario titolo si occupano di normare e sensibilizzare/educare la popolazione. L’uso dei social è aumentato e non si fermerà, ma certo è possibile guidare i ragazzi ad un uso consapevole e critico, così come è importante lavorare per chiudere profili e account che favoriscono il diffondersi di immagini e informazioni pericolose per la salute psichica e fisica soprattutto degli adolescenti, che sappiamo essere una categoria vulnerabile.

 

 

ragazza che si abbuffa di fronte a abbondanza di cibo

Il ruolo dell’eccessiva valutazione del peso e del corpo nel Binge Eating Disorder

Non tutte le persone in forte sovrappeso o affette da obesità hanno un disturbo alimentare in comorbidità.

I disturbi alimentari (DCA), qualsiasi sia la diagnosi, sono caratterizzati da un nucleo psicopatologico specifico che è l’eccessiva valutazione di peso e forma del corpo; tali aspetti influenzano in modo pervasivo autostima, identità e comportamento. La letteratura scientifica ha messo in evidenza come ci siano differenze significative tra persone affette da obesità senza DCA e persone affette da binge eating disorder (BED) e obesità, in termini di gravità dei sintomi alimentari (abbuffate e alimentazione eccessiva e discontrollata) e di sintomi psichiatrici (ansia, depressione, ecc).

Una review recente (Melisse & Dingemens, 2025) che ha analizzato gli studi sull’argomento, ha tratto diverse conclusioni: i livelli di ipervalutazione di peso e forma del corpo per gli individui con un indice di massa corporea similmente alto, era più alto in quelli con BED rispetto a quelli con obesità senza DCA. Gli individui con BED condividevano con anoressia e bulimia nervosa gli alti livelli di distress psicologico legato alle eccessive preoccupazioni sul peso e sul corpo. Per questa ragione gli autori suggerirebbero di inserire tra i criteri diagnostici del BED l’eccessiva influenza che peso e corpo hanno sui livelli di autostima, criterio già presente nell’AN e BN sia nell’ICD-11 sia nel DSM-5 e importante perchè predice la gravità della patologia alimentare e della psicopatologia in comorbidità. In questo modo è possibile indirizzare il trattamento in modo più specifico, distinguendo i problemi legati al peso e all’alimentazione che non coinvolgono temi identitari legati all’autostima, da quelli che si strutturano come un vero e proprio disturbo alimentare.

 

 

 

ragazza che si abbuffa di fronte a abbondanza di cibo

Obesità e disturbi dell’alimentazione

L’obesità è una condizione medica cronica diffusa in tutto il mondo, soprattutto quello occidentale, spesso associata a complicanze mediche di una certa gravità e a mortalità prematura. Si definisce sulla base dell’indice di massa corporea (BMI≥30). E’ stato stimato che i grandi obesi rischiano di morire circa 20 anni prima; l’obesità è responsabile di più di 2,5 milioni di morti all’anno in tutto il mondo (WHO, 2002). Oltre ai rischi per la salute fisica, questa condizione medica è associata anche a una ridotta qualità di vita e a compromissioni della salute psicologica e sociale. Il pattern alimentare delle persone affette da obesità è caratterizzato dalla dieta e da un rigido controllo dell’alimentazione per un certo periodo, interrotto ripetutamente da perdite di controllo sul cibo con le abbuffate, alimentazione compulsiva, ma anche da alimentazione eccessiva non compulsiva con cibi e bevande altamente calorici.

L’obesità è una condizione con eziologia multifattoriale, fattori genetici, comportamentali, culturali  e sociali sono alla base del suo sviluppo. Detta più semplicemente è necessario avere una predisposizione genetica all’obesità per poterla sviluppare, ma perchè si manifesti davvero sono necessarie altre condizioni, tra cui uno stile di vita non sano improntato alla sedentarietà e ad un eccessivo introito energetico. I nostri antenati, cacciatori-raccoglitori, sono stati programmati per poter sopravvivere alle carestie; coloro che riuscivano ad assimilare e conservare energie nei periodi di fame sopravvivevano alla selezione naturale. Questi geni sono in parte responsabili del sovrappeso e dell’obesità diffuse.

La domanda che mi voglio porre in questo articolo è la seguente: l’obesità può essere considerata un disturbo alimentare? La risposta è no. Ci sono differenze ma anche intersezioni tra le due condizioni; in una percentuale non trascurabile di casi le due condizioni si sovrappongono nella stessa persona, giustificando la diagnosi di disturbo da alimentazione incontrollata, ma non sempre è così. In molti altri casi le differenze tra obesità e disturbi alimentari sono marcate; nel primo caso la distribuzione tra i sessi e le varie età è pressocchè identica, mentre nel secondo la prevalenza è più alta nel genere femminile e in età adolescenziale. Inoltre,  nell’obesità è necessario promuovere un controllo costante dell’introito calorico e del peso corporeo, mentre nei disturbi alimentari è necessario contrastare la sorveglianza continua di questi aspetti.

Le cure sia nell’obesità, sia nei disturbi alimentari devono essere multidimensionali, multiprofessionali, attente  al versante nutrizionale, alle complicanze mediche e ai fattori psicologici e socio-ambientali.

Ad oggi, il trattamento d’elezione, empiricamente supportato, per l’obesità associata al disturbo da alimentazione incontrollata è la terapia cognitivo-comportamentale, la CBT-OB (Disturbo da Binge-Eating associato all’Obesità), che coniuga insieme lo scopo di aumento del controllo sull’alimentazione e cessazione delle condotte di abbuffate e la perdita di peso necessaria per la salute. Il trattamento prevede 6 mesi di trattamento intensivo mirato al cambiamento nello stile di vita (dieta moderatamente restrittiva basata sui principi della dieta mediterranea) e aumento dell’attività fisica (utilizzo del contapassi e sessioni di esercizi di tonificazione) e un anno di mantenimento del peso con follow-up mensili.

L’alimentazione regolare: strumento efficace per il controllo del peso e la gestione dei disturbi alimentari

Il campo delle diete e dell’alimentazione è ricco di informazioni che arrivano da molti canali diversi: social media, televisione, riviste, esperti o presunti tali che propongono diete innovative che promettono dimagrimenti miracolosi in tempi record, alimentando la speranza che questo sia possibile e che finalmente questa sarà la volta buona. Troviamo di tutto, dalla dieta chetogenica, alla dieta Zona, Atkins, Tisanoreica, e così via e tutti condividono in linea di principio una riduzione giornaliera della percentuale di carboidrati previsti dalla dieta mediterranea, a vantaggio di grassi e proteine. Le diete a basso contenuto di carboidrati hanno una lunga storia: gli olimpionici greci 2000 anni fa mangiavano molta carne per migliorare la performance sportiva; nel 1863 un opuscolo a cura del dr. Banting dal titolo Letter on Corpulence, Addressed to the Public incoraggiava una dieta di carne, verdura, frutta per perdere peso che è diventata la base sulla quale vengono impostate le più moderne diete iperproteiche che hanno avuto grande popolarità a partire dagli anni ’70. La verità è che le linee guida delle più importanti società scientifiche internazionali raccomandano una lenta e graduale perdita di peso che dovrebbe variare tra 0,5 e 1 kg alla settimana, un monitoraggio costante dell’alimentazione, del peso e dell’attività fisica e l’adozione di una dieta flessibile che comprenda la giusta proporzione di tutti i nutrienti principali (carboidrati, proteine e grassi), limitandone le quantità in modo da creare un bilancio energetico negativo necessario per poter perdere peso. La parola chiave diventa la sostenibilità della dieta, ovvero l’adozione di uno stile alimentare che possa essere portato avanti nel lungo termine senza particolari restrizioni dietetiche, in modo da poter mantenere l’eventuale peso perso, cosa che spesso non viene garantita da diete fortemente restrittive e sbilanciate, che sono oltretutto spesso il fattore precipitante di un disturbo alimentare. Una metanalisi di 29 studi che indagano la perdita di peso a lungo termine evidenzia come più del 50% del peso viene recuperato entro 2 anni e l’80% entro 5 anni.

Le diete a basso contenuto di carboidrati (spesso scelte dalle persone con un disturbo alimentare) promettono perdite rapide di peso nel breve termine e questo è vero in quanto se una dieta ben bilanciata produce un deficit dietetico di 500 kcal al giorno che permette di perdere circa 0,5 kg a settimana, le diete iperproteiche fanno perdere 2-3 kg nella prima settimana, creando entusiasmo ma anche alte aspettative e speranze. Questa maggiore perdita di peso è dovuta ad un aumento della diuresi e, conseguentemente, una riduzione della sensazione di gonfiore. Quindi questa maggiore perdita di peso, legata a una maggiore perdita di acqua nel corpo, è limitata alla prima settimana, successivamente la perdita di peso va di paro passo con le regole del bilancio energetico e non della composizione della dieta. Questo vuol dire che a parità di bilancio energetico, il fatto che una dieta sia iperproteica o mediterranea, non ha influenza sul peso perso (Johnstone et al., 2014). La dieta mediterranea si associa a importanti benefici sulla salute, come la prevenzione di malattie cardiovascolari e di alcuni tumori.

Queste informazioni sono importanti anche alla luce del lavoro che come psicoterapeuti dovremmo affrontare con le pazienti affette da un disturbo alimentari, disturbi caratterizzati da preoccupazioni eccessive nei confronti del peso, della forma del corpo e dell’alimentazione, che seguono regole dietetiche rigide e estreme che, se portate avanti in modo costante portano a sintomi da malnutrizione e sottopeso caratteristici dell’Anoressia Nervosa o, se interrotti da perdite di controllo sull’alimentazione (abbuffate) esitano nella Bulimia Nervosa e nel Binge Eating. Il lavoro di riabilitazione nutrizionale con queste pazienti è una parte importante del trattamento e una strategia fondamentale nell’ambito della terapia cognitivo-comportamentale migliorata (CBT-E) e prevede l’adozione dell’alimentazione regolare strutturata in 3 pasti più 2 spuntini pianificati in anticipo in modo da ridurre il rischio delle abbuffate, le preoccupazioni per l’alimentazione, la sensazione di pienezza (legata al ritardo nello svuotamento gastrico) e dare struttura alla giornata alimentare. Qualsiasi dieta che preveda ulteriori restrizioni (es. nei carboidrati) non solo non è utile ma è addirittura dannosa con queste pazienti (ad eccezione di quelle che hanno un’indicazione medica per dover eliminare alcuni alimenti, es. per allergie o celiachia), il cui obiettivo è uscire da un disturbo dell’alimentazione e quindi portare avanti un’alimentazione flessibile e sostenibile, riducendo le preoccupazioni tipiche del disturbo, conseguenza dell’eccessiva valutazione di peso, forma del corpo e alimentazione e del loro controllo. Aiutare le pazienti ad affrontare i fattori di mantenimento del disturbo significa aiutarle a superare la paura che certi alimenti abbiamo un potere ingrassante di per sè, a pesarsi una volta a settimana per non dare valore pesandosi troppo frequentemente a minime variazioni di peso legate ai cambiamenti nello stato idrico del corpo, ridurre le preoccupazioni per la forma del corpo insegnando loro a guardarsi in modo realistico, investire e trarre piacere da altri ambiti di vita fonte di autostima come le relazioni sociali, danneggiate profondamente dal disturbo alimentare.

 

Trattamento cognitivo-comportamentale dell’anoressia nervosa nell’adolescenza

I disturbi dell’alimentazione sono disturbi complessi da un punto di vista sia psichico sia organico e molto diffusi nella popolazione generale; le stime di prevalenza si attestano attorno al 5-15%. La massima incidenza di questa disturbi la troviamo nella fascia di età 14-18 anni, quindi nella prima adolescenza. Questa è la ragione per cui è di estrema importanza riconoscere tempestivamente i primi segni di disturbo alimentare e intervenire con trattamenti efficaci e specialistici, evitando in questo modo la cronicizzazione del disturbo e le conseguenze negative su un piano medico, psichico, sociale e familiare.

I sintomi alimentari sono dei rimedi, delle strategie utilizzate dai pazienti per controllare problemi psicopatologici più profondi quali: un senso pervasivo di inefficacia personale (i pensieri, le azioni, i bisogni sono etero-determinati, non originano attivamente dall’interno), difficoltà a identificare le emozioni, le sensazioni, gli stati interni, identità personale fragile/non strutturata (che va oltre la diffusione d’identità tipica della fase evolutiva adolescenziale), focalizzazione sull’immagine corporea e sua distorsione. L’autostima personale, il proprio senso di efficacia personale, che caratterizza ogni essere umano e che si gioca in vari domini esistenziali, in pazienti con disturbo alimentare si gioca in un unico dominio che è quello del controllo del peso e dell’alimentazione. Le strategie di controllo sono il bersaglio del trattamento, ma è importante riconoscere come terapeuti e far riconoscere ai pazienti, il significato e la funzione che svolgono, prima di poter pensare di motivare al trattamento; esse sono tese a ridurre il senso di pericolo e di vulnerabilità percepita. Il nucleo psicopatologico dei DCA è costituito da convinzioni nucleari profonde che oscillano tra le polarità competente/efficace e incompetente/inefficace. I pazienti cercano di rappresentarsi mentalmente come efficaci attraverso un controllo estremo e rigido dell’alimentazione e la perdita di peso. Tali strategie di controllo sono efficaci nell’anoressia (AN), parzialmente efficaci nella bulimia (il controllo è interrotto dalle abbuffate) e inefficaci nel disturbo da alimentazione incontrollata.

Nel trattamento degli adolescenti, così come negli adulti con AN,  è necessario tenere presente le conseguenze organiche del disturbo che variano a seconda dell’età, della durata di malattia, della gravità del sottopeso: alterazioni cardiache, endocrine, elettrolitiche, del metabolismo osseo, ematologiche e gastro-enteriche. E’ necessario conoscere gli effetti del sottopeso anche sul piano cognitivo, emotivo e sociale: aumento dell’irritabilità, della depressione, dell’ansia, deficit dell’attenzione e di memoria, aumento dell’ossessività e bisogno di certezza, isolamento sociale e riduzione del desiderio sessuale.

Il trattamento cognitivo-comportamentale migliorato per gli adolescenti (CBT-Ea) è stato sviluppato nel 2008 presso l’Unità Funzionale di Riabilitazione Nutrizionale della Casa di Cura Villa Garda in collaborazione con il Prof. Fairburn dell’Università di Oxford e deriva dalla CBT-E per gli adulti. Le linee guida NICE (2017) hanno inserito questo trattamento tra gli interventi supportati da evidenze scientifiche per gli adolescenti con DCA, rappresentando oggi una valida alternativa al trattamento basato sulla famiglia. Si tratta di un trattamento non complesso da comprendere e ricevere, che include strategie per ingaggiare e motivare il paziente facendolo sentire parte attiva del percorso di cura e in controllo (aspetto importante per questa tipologia di pazienti), che adotta un approccio flessibile adattabile alle differenze individuali. Gli obiettivi dell’intervento sono quattro: 1) Motivare il paziente nella decisione di cambiare, un assunto fondamentale è che non vengano adottate strategie prescrittive o coercitive che aumenterebbero solo la resistenza al cambiamento della persona; 2) Affrontare la psicopatologia del DCA: basso peso (se presente), modo sbagliato di alimentarsi, preoccupazione per l’alimentazione, peso e forma corporea, comportamenti estremi di controllo del peso (uso diuretici e lassativi, eccessiva attività fisica, abbuffate e vomito auto-indotto); 3) Correggere i meccanismi di mantenimento del disturbo (specifici del paziente, ad es. il perfezionismo clinico); 4) Assicurare il mantenimento dei cambiamenti ottenuti e prevenire le ricadute. L’intervento adotta strategie cognitivo-comportamentali, sebbene si favoriscano principalmente cambiamenti strategici nel comportamento per ottenere cambiamenti cognitivi (nel modo di pensare). I genitori vengono coinvolti nel trattamento, sebbene questo non sia sempre necessario, e lo psicoterapeuta deve aiutarli a comprendere il funzionamento del disturbo, la natura del trattamento e il loro ruolo di supporter nell’evoluzione dei cambiamenti del figlio/a. Devono essere aiutati a eliminare le critiche e l’eccessivo controllo, due aspetti spesso presenti in queste famiglie, data l’estrema preoccupazione per la salute del figlio. Previo consenso del paziente, i genitori possono essere coinvolti nell’aiutarlo/a ad applicare alcune strategie e procedure del trattamento. In linea generale vengono visti alla fine di una seduta individuale paziente-terapeuta, con il paziente per circa 15 minuti e con una frequenza di una volta ogni 5 sedute.

Le ricerche condotte sino ad oggi sembrano indicare un’ efficacia superiore di questo trattamento negli adolescenti, che raggiungono obiettivi di peso salutare (IMC< 19) in tempi più brevi.

Terapia cognitivo-comportamentale online per i disturbi alimentari: tra nuove sfide e importanti opportunità

Il momento che stiamo vivendo caratterizzato da ansie e paure legate al contagio da Covid-19, isolamento sociale, distanziamento fisico dagli altri, mettono a dura prova il benessere psicologico di tutti noi. Per molti lavoratori i cambiamenti hanno riguardato anche le modalità di lavoro, che si sono appoggiate prevalentemente allo smart working, termine ormai di uso comune per indicare l’utilizzo agile del lavoro, da casa, grazie all’ausilio di devices tecnologici. Questo passaggio dalla modalità face-to-face a quella online ha riguardato anche molte coppie terapeuta-paziente e questo articolo ha proprio lo scopo di riportare delle riflessioni in merito alle nuove sfide ed opportunità che riguardano il trattamento cognitivo-comportamentale  dei disturbi alimentari (CBT-ED) offerto tramite piattaforme online, che per quello che sappiamo oggi può essere un’alternativa efficace e sicuramente consigliata rispetto all’interruzione del trattamento fino a data da destinarsi che porta con sè molti più rischi. Tali riflessioni  recenti provengono da clinici e ricercatori di fama mondiale che si occupano da anni del trattamento di disturbi alimentari (Murphy, Calugi, Cooper, Dalle Grave, 2020).

Di fronte alla pandemia da covid-19 le persone che soffrono di un disturbo alimentare potrebbero sperimentare una ricaduta o un aggravamento dei sintomi, in chi era predisposto al disturbo questo momento di alto stress potrebbe rappresentare un fattore scatenante. Le emozioni di noia, isolamento, ansia, rabbia, la riduzione dei contatti sociali potrebbe essere gestito con un aumento del controllo alimentare (aumento delle regole dietetiche) o del discontrollo e abbuffate con i relativi comportamenti di compenso (vomito, uso di lassativi/diuretici). La sensazione di non poter controllare l’ambiente esterno aumenta il vissuto di impotenza, ansia e paura che porta spesso queste pazienti ad aumentare il controllo sulla loro alimentazione. Ci sono anche casi, però, e questa è la grande opportunità che la pandemia ha portato per qualcuno, in cui problemi più grandi come quelli legati al rischio di contagio, al numero alto di morti, ha ridimensionato l’importanza attribuita al peso, alla forma del corpo e all’alimentazione riducendo di conseguenza la sintomatologia.

Per qualche paziente può essere difficile affrontare l’impossibilità di poter svolgere attività fisica intensa al di fuori dell’ambiente domestico (sempre che ci sia lo spazio per praticarla) e in questo la terapia cognitivo-comportamentale può essere di aiuto anche da remoto, per aiutare a tollerare questi limiti abituandosi a un esercizio fisico più salutare e, dove possibile, ricreativo, sfruttando anche la stessa tecnologia digitale che offre molti corsi di fitness online o in compagnia con un componente della famiglia (es. fratelli). Per coloro che seguono una dieta restrittiva la difficoltà attualmente potrebbe essere quella di non riuscire a trovare tutti gli alimenti da dieta a cui sono abituati. Questa può essere un’opportunità per fare delle scelte alimentari più flessibili (uno degli obiettivi più importanti del trattamento) con la strategia dello scambio dei gruppi alimentari, abituandosi a sostituire un alimento con un altro appartenente allo stesso gruppo (carboidrati, proteine, grassi) che apporta più o meno la stessa energia. Continuare a seguire la pianificazione alimentare può essere più facile in questo periodo, soprattutto per quelle pazienti che lamentano in condizioni di routine quotidiana, di essere troppo impegnate per prestarvi la dovuta attenzione. Questo periodo di rallentamento può essere una grande opportunità. Diversamente, qualcun altro, potrebbe invece, a causa della maggiore permanenza a casa e di spese più abbondanti e meno frequenti, incorrere con più facilità nelle abbuffate avendo sempre a disposizione il cibo e meno possibilità di distrazione date dalle attività alternative, dalle relazioni sociali, dagli impegni lavorativi. Questi aspetti possono essere trattati allo stesso modo delle sedute in presenza anche attraverso la piattaforma online, dove è possibili fare problem solving e trovare creativamente insieme delle soluzioni adeguate.

Per quanto riguarda il lavoro sull’immagine corporea risulta possibile continuarlo da remoto, con alcune difficoltà che possono riguardare il confronto del proprio corpo con altri che potrebbe non essere possibile in vivo, ma che può focalizzarsi sui confronti con modelli presenti sui social, peraltro in aumento in questo periodo di quarantena e, come sappiamo, rischiosi perchè poco realistici e affidabili, ma importanti fattori di mantenimento di insoddisfazione corporea e di preoccupazione per il peso. La gestione del peso, così come i compiti tra una seduta e l’altra, possono continuare in modo collaborativo affidandoci gli screen shot delle schede di auto-monitoraggio o del grafico del peso, utilizzando mail, e così via. Per alcuni pazienti, soprattutto gli adolescenti, la modalità online è preferita a quella in presenza, oltre a essere più flessibile e dare la possibilità di svolgersi nel proprio ambiente (es. la propria camera), cosa che può essere anche più rassicurante.

Per quanto riguarda la condivisione costante e ravvicinata degli spazi con i propri familiari, questo potrebbe rappresentare per qualcuno un aumento dei conflitti, per altri invece potrebbe essere l’occasione per una nuova vicinanza e connessione positiva anche per quanto riguarda la gestione dei pasti.

In sintesi, se la terapia cognitivo-comportamentale migliorata per i disturbi alimentari (CBT-E) è indicata dalle più recenti linee guida del NICE (National Institute for Health and Care and Clinical Excellence, 2017) come il trattamento più efficace per questi disturbi (anoressia, bulimia e disturbo d’alimentazione incontrollata), possiamo continuare a ritenere altrettanto efficace tale trattamento anche in un setting online, così come ci dicono studi precedenti (Mitchell et al., 2008).

 

This year I resolve myself to ignore my arch nemesis in culinary choices and pay much more attention to that angelic voice helping me dine sensibly.

Digiuno intermittente. Funziona davvero?

Il digiuno intermittente (intermitted fasting) è stato proposto da alcuni clinici e ricercatori negli ultimi anni come una modalità alimentare che apporta benefici a livello di sistema immunitario, regolazione arteriosa, di resistenza insulinica, di livelli di trigliceridi e colesterolo, di funzioni cognitive e così via (de Caba & Mattson, 2019). Ci sono diversi modi in cui si può praticare, per esempio mangiando nella prima parte della giornata fino al pranzo e poi digiunare nelle ore successive fino alla colazione del giorno dopo (circa 18 ore di digiuno e un periodo di alimentazione di 6 ore).

Gli studi che sostengono i benefici del digiuno intermittente nell’obesità, asma, malattie cardiovascolari, cancro, ecc hanno diversi limiti: sono condotti nella gran parte dei casi su animali (ratti), tendono a valutare gli effetti della dieta nel breve termine (settimane o qualche mese) non a lungo termine e hanno diversi limiti metodologici. L’unico studio che ha confrontato gli effetti sul peso e sul rischio cardiovascolare di un regime di digiuno intermittente e una restrizione dietetica continuativa (1000 Kcal per le donne e 1200 Kcal per gli uomini) in persone con sovrappeso/obesità non ha trovato differenze significative sia a 12 che a 24 mesi (Headland, Clifton, & Keogh, 2019, 2020). I risultati di questo studio confermano le conclusioni di una revisione metanalitica sistematica di 9 studi di durata minima di 6 mesi, in cui non è stata osservata alcuna differenza nella perdita di peso tra restrizione calorica continuativa e digiuno intermittente (Headland, Clifton, Carter, & Keogh, 2016).

Sebbene non ci siano differenze significative in termini di perdita di peso e miglioramento dei fattori di rischio cardiovascolari tra digiuno intermittente e dieta moderatamente ipocalorica continuativa, alcuni studi hanno dimostrato che il digiuno, ovvero passare molte ore della giornata senza mangiare, e la restrizione dietetica rigida e estrema aumentano il rischio di episodi di abbuffate e l’alimentazione in eccesso e la preoccupazione per il cibo. La ricerca dimostra che le diete fortemente ipocaloriche favoriscono l’aumento di peso a lungo termine negli individui normopeso (Lowe, Doshi, Katterman, & Feig, 2013) e in quelli predisposti è un fattore di rischio per lo sviluppo dei disturbi dell’alimentazione di gravità clinica (Schaumberg & Anderson, 2016; Stice, 2016). Inoltre, gli studi effettuati sul disturbo da binge-eating (BED) hanno confermato che l’assunzione di almeno 3 pasti al giorno è associata a meno episodi di abbuffata rispetto a una minore frequenza di pasti assunti (Masheb, Grilo, & White, 2011). Infine, il consumo regolare della colazione, del pranzo e della cena è significativamente correlato con un indice di massa corporea più basso nelle persone con obesità e BED (Masheb & Grilo, 2006).

La prova più importante a favore  dell’adozione di un’alimentazione regolare (3+2+0) deriva però dai risultati degli studi che hanno valutato gli effetti della terapia cognitivo comportamentale migliorata (CBT-E) per i disturbi dell’alimentazione (Dalle Grave & Calugi, 2020; Fairburn, 2008). Il razionale che sta dietro questa terapia è che l’alimentazione ritardata e le regole alimentari rigide ed estreme siano i più importanti fattori di mantenimento delle abbuffate, pertanto per ridurne la loro frequenza, è necessario non tenere lo stomaco vuoto per più di 4 ore nel suggerire al paziente di pianificare in anticipo 3 pasti principali (colazione, pranzo e cena) e due spuntini (metà mattina e metà pomeriggio) e il non mangiare tra gli intervalli: una procedura anche chiamata 3+2+0. Gli studi hanno dimostrato che la procedura dell’Alimentazione Regolare produce una rapida e significativa riduzione degli episodi di abbuffata solo dopo 4 settimane nella maggior parte dei pazienti con bulimia nervosa (Dalle Grave, Calugi, Sartirana, & Fairburn, 2015; Fairburn et al., 2009) e BED (Grilo & Masheb, 2005).

Per concludere, dato che il digiuno intermittente per quello che ad oggi ci dicono le evidenze scientifiche, non apporta benefici aggiuntivi in termini di perdita di peso e di rischio cardiovascolare rispetto a una dieta moderatamente restrittiva, ma aumenta la preoccupazione per il cibo e il rischio di abbuffate quindi non sembra opportuno proporlo come pratica alimentare. Sembra essere molto più appropriato un regime alimentare salutare, in particolare mediterraneo, ben distribuito in 3 pasti principali più due spuntini; in questo modo si previene il potenziale sviluppo di disturbi alimentari o pattern alimentari disregolati.

Un’analisi cognitiva della psicopatologia centrale dell’Anoressia Nervosa.

L’ Anoressia Nervosa è un disturbo complesso dall’eziologia ancora sconosciuta, sebbene dati di letteratura scientifica suggeriscano che derivi dall’interazione di molteplici fattori di natura genetica e ambientale. Sebbene nei soggetti affetti da Anoressia Nervosa sia presente il terrore di aumentare di peso e di diventare grassi, non è possibile concettualizzarlo come un semplice disturbo fobico per diverse ragioni. La prima è che il controllo dell’alimentazione, del peso e della forma corporea non sono solo la conseguenza della paura di ingrassare, ma sono associati ad un senso di trionfo, di superiorità, di soddisfazione, di orgoglio; la perdita di peso è spesso vissuta come un obiettivo da raggiungere a tutti i costi, una virtù, una “fonte di piacere”. Questa condizione, in cui la maggior parte dei pazienti esalta le virtù dello stato patologico adottando attivamente comportamenti di controllo del peso “ego-sintonici” (dieta rigida e estrema, esercizio fisico eccessivo, vomito auto-indotto, uso improprio di diuretici e lassativi) è molto diverso da una semplice fobia del peso.

anoressia nervosa

Il controllo del peso e della forma corporea rappresentano la psicopatologia centrale e specifica dei disturbi alimentari, mentre la fobia del peso rappresenta un’espressione secondaria del disturbo. In accordo alla teoria cognitivo-comportamentale più moderna, il cuore di tutti i disturbi alimentari sarebbe uno schema distintivo di auto-valutazione caratterizzato da un’ipervalutazione del peso e della forma corporea e del loro controllo; in altre parole chi soffre di un disturbo alimentare giudica se stesso e il proprio valore esclusivamente o in modo predominante in termini di peso, forma corporea, questo significa “valgo se e solo se raggiungo questo peso, ho questa forma corporea e se riesco a non mangiare” (Fairburn, Cooper, & Shafran, 2003). Da questa prospettiva è possibile comprendere il senso di comportamenti estremi di controllo del peso apparentemente privi di logica e le espressioni associate (es. il body checking e l’evitamento del corpo, il sentirsi grassi, preoccupazioni per la forma corporea, il cibo e il peso e la marginalizzazione di altre aree di vita), se una persona crede che il controllo del peso e del corpo sia vitale per giudicare il suo valore personale. Inoltre la restrizione dietetica e il basso peso corporeo determinano lo sviluppo di numerosi sintomi di malnutrizione, di natura sia fisica che psicologica e sociale (Calugi, Chignola, El

Ghoch, & Dalle Grave, 2018) che, a loro volta, contribuiscono a mantenere il disturbo alimentare attraverso meccanismi distinti. Ad esempio, il ritardo dello svuotamento gastrico come conseguenza della malnutrizione, produce un precoce senso di pienezza anche dopo l’ingestione di una modesta quantità di cibo; il ritiro sociale tipico di questi pazienti e secondario alla malnutrizione, intensifica l’uso del peso e della forma corporea come mezzi di auto-valutazione; e la preoccupazione per l’alimentazione secondaria alla restrizione dietetica accentua l’adozione di regole dietetiche rigide e estreme  (Dalle Grave, Pasqualoni, & Marchesini, 2011). Le abbuffate, riportate da un sottogruppo di pazienti con Anoressia Nervosa (tipo Binge-Purging) derivano dall’ipervalutazione del peso e della forma corporea e sono mantenute dal tentativo di aderire alle rigide regole dietetiche e/o gestire gli eventi esterni e gli stati d’animo negativi associati (Fairburn et al., 2003).

La terapia cognitivo-comportamentale dei disturbi alimentari (CBT-E) si basa sulla concettualizzazione descritta sopra e si pone come scopo principale quello di aiutare i pazienti a sviluppare uno schema di auto-valutazione più articolato e funzionale. Per raggiungere tale obiettivo, il trattamento usa specifiche strategie e procedure (es. auto-monitoraggio in tempo reale e la costruzione di una formulazione personalizzata del disturbo) che ha lo scopo di educare i pazienti circa i processi che stanno mantenendo il disturbo e aiutarli a smettere di identificare se stessi con il problema. I pazienti vengono incoraggiati a fare dei graduali cambiamenti comportamentali per valutare gli effetti e le implicazioni sul loro modo di pensare. Il trattamento è strutturato in modo da far sentire i pazienti in controllo, ad esempio pianificando in anticipo i pasti e introducendo in modo graduale i cibi evitati e creando un bilancio energetico positivo che determinerà un aumento di peso settimanale controllato e prevedibile. Essendo in grado di predire gli effetti sul peso di quello che mangeranno, i pazienti saranno più in grado di tollerare l’ansia associata con il recupero del peso e l’inserimento dei cibi evitati. Il trattamento prevede la collaborazione di più figure professionali; oltre allo psicoterapeuta specializzato spesso è necessaria la collaborazione con dietisti esperti  di riabilitazione nutrizionale di pazienti con disturbo alimentari e, in alcuni casi, può essere utile un supporto farmacologico. Il lavoro di squadra aiuta a raggiungere risultati importanti nell’attaccare un disturbo che è tra i più resistenti al cambiamento.

 

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