Dott.ssa Laura Marchi

Psicologa Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale Pisa e provincia

Tag: anoressia

L’alimentazione regolare: strumento efficace per il controllo del peso e la gestione dei disturbi alimentari

Il campo delle diete e dell’alimentazione è ricco di informazioni che arrivano da molti canali diversi: social media, televisione, riviste, esperti o presunti tali che propongono diete innovative che promettono dimagrimenti miracolosi in tempi record, alimentando la speranza che questo sia possibile e che finalmente questa sarà la volta buona. Troviamo di tutto, dalla dieta chetogenica, alla dieta Zona, Atkins, Tisanoreica, e così via e tutti condividono in linea di principio una riduzione giornaliera della percentuale di carboidrati previsti dalla dieta mediterranea, a vantaggio di grassi e proteine. Le diete a basso contenuto di carboidrati hanno una lunga storia: gli olimpionici greci 2000 anni fa mangiavano molta carne per migliorare la performance sportiva; nel 1863 un opuscolo a cura del dr. Banting dal titolo Letter on Corpulence, Addressed to the Public incoraggiava una dieta di carne, verdura, frutta per perdere peso che è diventata la base sulla quale vengono impostate le più moderne diete iperproteiche che hanno avuto grande popolarità a partire dagli anni ’70. La verità è che le linee guida delle più importanti società scientifiche internazionali raccomandano una lenta e graduale perdita di peso che dovrebbe variare tra 0,5 e 1 kg alla settimana, un monitoraggio costante dell’alimentazione, del peso e dell’attività fisica e l’adozione di una dieta flessibile che comprenda la giusta proporzione di tutti i nutrienti principali (carboidrati, proteine e grassi), limitandone le quantità in modo da creare un bilancio energetico negativo necessario per poter perdere peso. La parola chiave diventa la sostenibilità della dieta, ovvero l’adozione di uno stile alimentare che possa essere portato avanti nel lungo termine senza particolari restrizioni dietetiche, in modo da poter mantenere l’eventuale peso perso, cosa che spesso non viene garantita da diete fortemente restrittive e sbilanciate, che sono oltretutto spesso il fattore precipitante di un disturbo alimentare. Una metanalisi di 29 studi che indagano la perdita di peso a lungo termine evidenzia come più del 50% del peso viene recuperato entro 2 anni e l’80% entro 5 anni.

Le diete a basso contenuto di carboidrati (spesso scelte dalle persone con un disturbo alimentare) promettono perdite rapide di peso nel breve termine e questo è vero in quanto se una dieta ben bilanciata produce un deficit dietetico di 500 kcal al giorno che permette di perdere circa 0,5 kg a settimana, le diete iperproteiche fanno perdere 2-3 kg nella prima settimana, creando entusiasmo ma anche alte aspettative e speranze. Questa maggiore perdita di peso è dovuta ad un aumento della diuresi e, conseguentemente, una riduzione della sensazione di gonfiore. Quindi questa maggiore perdita di peso, legata a una maggiore perdita di acqua nel corpo, è limitata alla prima settimana, successivamente la perdita di peso va di paro passo con le regole del bilancio energetico e non della composizione della dieta. Questo vuol dire che a parità di bilancio energetico, il fatto che una dieta sia iperproteica o mediterranea, non ha influenza sul peso perso (Johnstone et al., 2014). La dieta mediterranea si associa a importanti benefici sulla salute, come la prevenzione di malattie cardiovascolari e di alcuni tumori.

Queste informazioni sono importanti anche alla luce del lavoro che come psicoterapeuti dovremmo affrontare con le pazienti affette da un disturbo alimentari, disturbi caratterizzati da preoccupazioni eccessive nei confronti del peso, della forma del corpo e dell’alimentazione, che seguono regole dietetiche rigide e estreme che, se portate avanti in modo costante portano a sintomi da malnutrizione e sottopeso caratteristici dell’Anoressia Nervosa o, se interrotti da perdite di controllo sull’alimentazione (abbuffate) esitano nella Bulimia Nervosa e nel Binge Eating. Il lavoro di riabilitazione nutrizionale con queste pazienti è una parte importante del trattamento e una strategia fondamentale nell’ambito della terapia cognitivo-comportamentale migliorata (CBT-E) e prevede l’adozione dell’alimentazione regolare strutturata in 3 pasti più 2 spuntini pianificati in anticipo in modo da ridurre il rischio delle abbuffate, le preoccupazioni per l’alimentazione, la sensazione di pienezza (legata al ritardo nello svuotamento gastrico) e dare struttura alla giornata alimentare. Qualsiasi dieta che preveda ulteriori restrizioni (es. nei carboidrati) non solo non è utile ma è addirittura dannosa con queste pazienti (ad eccezione di quelle che hanno un’indicazione medica per dover eliminare alcuni alimenti, es. per allergie o celiachia), il cui obiettivo è uscire da un disturbo dell’alimentazione e quindi portare avanti un’alimentazione flessibile e sostenibile, riducendo le preoccupazioni tipiche del disturbo, conseguenza dell’eccessiva valutazione di peso, forma del corpo e alimentazione e del loro controllo. Aiutare le pazienti ad affrontare i fattori di mantenimento del disturbo significa aiutarle a superare la paura che certi alimenti abbiamo un potere ingrassante di per sè, a pesarsi una volta a settimana per non dare valore pesandosi troppo frequentemente a minime variazioni di peso legate ai cambiamenti nello stato idrico del corpo, ridurre le preoccupazioni per la forma del corpo insegnando loro a guardarsi in modo realistico, investire e trarre piacere da altri ambiti di vita fonte di autostima come le relazioni sociali, danneggiate profondamente dal disturbo alimentare.

 

Terapia cognitivo-comportamentale online per i disturbi alimentari: tra nuove sfide e importanti opportunità

Il momento che stiamo vivendo caratterizzato da ansie e paure legate al contagio da Covid-19, isolamento sociale, distanziamento fisico dagli altri, mettono a dura prova il benessere psicologico di tutti noi. Per molti lavoratori i cambiamenti hanno riguardato anche le modalità di lavoro, che si sono appoggiate prevalentemente allo smart working, termine ormai di uso comune per indicare l’utilizzo agile del lavoro, da casa, grazie all’ausilio di devices tecnologici. Questo passaggio dalla modalità face-to-face a quella online ha riguardato anche molte coppie terapeuta-paziente e questo articolo ha proprio lo scopo di riportare delle riflessioni in merito alle nuove sfide ed opportunità che riguardano il trattamento cognitivo-comportamentale  dei disturbi alimentari (CBT-ED) offerto tramite piattaforme online, che per quello che sappiamo oggi può essere un’alternativa efficace e sicuramente consigliata rispetto all’interruzione del trattamento fino a data da destinarsi che porta con sè molti più rischi. Tali riflessioni  recenti provengono da clinici e ricercatori di fama mondiale che si occupano da anni del trattamento di disturbi alimentari (Murphy, Calugi, Cooper, Dalle Grave, 2020).

Di fronte alla pandemia da covid-19 le persone che soffrono di un disturbo alimentare potrebbero sperimentare una ricaduta o un aggravamento dei sintomi, in chi era predisposto al disturbo questo momento di alto stress potrebbe rappresentare un fattore scatenante. Le emozioni di noia, isolamento, ansia, rabbia, la riduzione dei contatti sociali potrebbe essere gestito con un aumento del controllo alimentare (aumento delle regole dietetiche) o del discontrollo e abbuffate con i relativi comportamenti di compenso (vomito, uso di lassativi/diuretici). La sensazione di non poter controllare l’ambiente esterno aumenta il vissuto di impotenza, ansia e paura che porta spesso queste pazienti ad aumentare il controllo sulla loro alimentazione. Ci sono anche casi, però, e questa è la grande opportunità che la pandemia ha portato per qualcuno, in cui problemi più grandi come quelli legati al rischio di contagio, al numero alto di morti, ha ridimensionato l’importanza attribuita al peso, alla forma del corpo e all’alimentazione riducendo di conseguenza la sintomatologia.

Per qualche paziente può essere difficile affrontare l’impossibilità di poter svolgere attività fisica intensa al di fuori dell’ambiente domestico (sempre che ci sia lo spazio per praticarla) e in questo la terapia cognitivo-comportamentale può essere di aiuto anche da remoto, per aiutare a tollerare questi limiti abituandosi a un esercizio fisico più salutare e, dove possibile, ricreativo, sfruttando anche la stessa tecnologia digitale che offre molti corsi di fitness online o in compagnia con un componente della famiglia (es. fratelli). Per coloro che seguono una dieta restrittiva la difficoltà attualmente potrebbe essere quella di non riuscire a trovare tutti gli alimenti da dieta a cui sono abituati. Questa può essere un’opportunità per fare delle scelte alimentari più flessibili (uno degli obiettivi più importanti del trattamento) con la strategia dello scambio dei gruppi alimentari, abituandosi a sostituire un alimento con un altro appartenente allo stesso gruppo (carboidrati, proteine, grassi) che apporta più o meno la stessa energia. Continuare a seguire la pianificazione alimentare può essere più facile in questo periodo, soprattutto per quelle pazienti che lamentano in condizioni di routine quotidiana, di essere troppo impegnate per prestarvi la dovuta attenzione. Questo periodo di rallentamento può essere una grande opportunità. Diversamente, qualcun altro, potrebbe invece, a causa della maggiore permanenza a casa e di spese più abbondanti e meno frequenti, incorrere con più facilità nelle abbuffate avendo sempre a disposizione il cibo e meno possibilità di distrazione date dalle attività alternative, dalle relazioni sociali, dagli impegni lavorativi. Questi aspetti possono essere trattati allo stesso modo delle sedute in presenza anche attraverso la piattaforma online, dove è possibili fare problem solving e trovare creativamente insieme delle soluzioni adeguate.

Per quanto riguarda il lavoro sull’immagine corporea risulta possibile continuarlo da remoto, con alcune difficoltà che possono riguardare il confronto del proprio corpo con altri che potrebbe non essere possibile in vivo, ma che può focalizzarsi sui confronti con modelli presenti sui social, peraltro in aumento in questo periodo di quarantena e, come sappiamo, rischiosi perchè poco realistici e affidabili, ma importanti fattori di mantenimento di insoddisfazione corporea e di preoccupazione per il peso. La gestione del peso, così come i compiti tra una seduta e l’altra, possono continuare in modo collaborativo affidandoci gli screen shot delle schede di auto-monitoraggio o del grafico del peso, utilizzando mail, e così via. Per alcuni pazienti, soprattutto gli adolescenti, la modalità online è preferita a quella in presenza, oltre a essere più flessibile e dare la possibilità di svolgersi nel proprio ambiente (es. la propria camera), cosa che può essere anche più rassicurante.

Per quanto riguarda la condivisione costante e ravvicinata degli spazi con i propri familiari, questo potrebbe rappresentare per qualcuno un aumento dei conflitti, per altri invece potrebbe essere l’occasione per una nuova vicinanza e connessione positiva anche per quanto riguarda la gestione dei pasti.

In sintesi, se la terapia cognitivo-comportamentale migliorata per i disturbi alimentari (CBT-E) è indicata dalle più recenti linee guida del NICE (National Institute for Health and Care and Clinical Excellence, 2017) come il trattamento più efficace per questi disturbi (anoressia, bulimia e disturbo d’alimentazione incontrollata), possiamo continuare a ritenere altrettanto efficace tale trattamento anche in un setting online, così come ci dicono studi precedenti (Mitchell et al., 2008).

 

This year I resolve myself to ignore my arch nemesis in culinary choices and pay much more attention to that angelic voice helping me dine sensibly.

Digiuno intermittente. Funziona davvero?

Il digiuno intermittente (intermitted fasting) è stato proposto da alcuni clinici e ricercatori negli ultimi anni come una modalità alimentare che apporta benefici a livello di sistema immunitario, regolazione arteriosa, di resistenza insulinica, di livelli di trigliceridi e colesterolo, di funzioni cognitive e così via (de Caba & Mattson, 2019). Ci sono diversi modi in cui si può praticare, per esempio mangiando nella prima parte della giornata fino al pranzo e poi digiunare nelle ore successive fino alla colazione del giorno dopo (circa 18 ore di digiuno e un periodo di alimentazione di 6 ore).

Gli studi che sostengono i benefici del digiuno intermittente nell’obesità, asma, malattie cardiovascolari, cancro, ecc hanno diversi limiti: sono condotti nella gran parte dei casi su animali (ratti), tendono a valutare gli effetti della dieta nel breve termine (settimane o qualche mese) non a lungo termine e hanno diversi limiti metodologici. L’unico studio che ha confrontato gli effetti sul peso e sul rischio cardiovascolare di un regime di digiuno intermittente e una restrizione dietetica continuativa (1000 Kcal per le donne e 1200 Kcal per gli uomini) in persone con sovrappeso/obesità non ha trovato differenze significative sia a 12 che a 24 mesi (Headland, Clifton, & Keogh, 2019, 2020). I risultati di questo studio confermano le conclusioni di una revisione metanalitica sistematica di 9 studi di durata minima di 6 mesi, in cui non è stata osservata alcuna differenza nella perdita di peso tra restrizione calorica continuativa e digiuno intermittente (Headland, Clifton, Carter, & Keogh, 2016).

Sebbene non ci siano differenze significative in termini di perdita di peso e miglioramento dei fattori di rischio cardiovascolari tra digiuno intermittente e dieta moderatamente ipocalorica continuativa, alcuni studi hanno dimostrato che il digiuno, ovvero passare molte ore della giornata senza mangiare, e la restrizione dietetica rigida e estrema aumentano il rischio di episodi di abbuffate e l’alimentazione in eccesso e la preoccupazione per il cibo. La ricerca dimostra che le diete fortemente ipocaloriche favoriscono l’aumento di peso a lungo termine negli individui normopeso (Lowe, Doshi, Katterman, & Feig, 2013) e in quelli predisposti è un fattore di rischio per lo sviluppo dei disturbi dell’alimentazione di gravità clinica (Schaumberg & Anderson, 2016; Stice, 2016). Inoltre, gli studi effettuati sul disturbo da binge-eating (BED) hanno confermato che l’assunzione di almeno 3 pasti al giorno è associata a meno episodi di abbuffata rispetto a una minore frequenza di pasti assunti (Masheb, Grilo, & White, 2011). Infine, il consumo regolare della colazione, del pranzo e della cena è significativamente correlato con un indice di massa corporea più basso nelle persone con obesità e BED (Masheb & Grilo, 2006).

La prova più importante a favore  dell’adozione di un’alimentazione regolare (3+2+0) deriva però dai risultati degli studi che hanno valutato gli effetti della terapia cognitivo comportamentale migliorata (CBT-E) per i disturbi dell’alimentazione (Dalle Grave & Calugi, 2020; Fairburn, 2008). Il razionale che sta dietro questa terapia è che l’alimentazione ritardata e le regole alimentari rigide ed estreme siano i più importanti fattori di mantenimento delle abbuffate, pertanto per ridurne la loro frequenza, è necessario non tenere lo stomaco vuoto per più di 4 ore nel suggerire al paziente di pianificare in anticipo 3 pasti principali (colazione, pranzo e cena) e due spuntini (metà mattina e metà pomeriggio) e il non mangiare tra gli intervalli: una procedura anche chiamata 3+2+0. Gli studi hanno dimostrato che la procedura dell’Alimentazione Regolare produce una rapida e significativa riduzione degli episodi di abbuffata solo dopo 4 settimane nella maggior parte dei pazienti con bulimia nervosa (Dalle Grave, Calugi, Sartirana, & Fairburn, 2015; Fairburn et al., 2009) e BED (Grilo & Masheb, 2005).

Per concludere, dato che il digiuno intermittente per quello che ad oggi ci dicono le evidenze scientifiche, non apporta benefici aggiuntivi in termini di perdita di peso e di rischio cardiovascolare rispetto a una dieta moderatamente restrittiva, ma aumenta la preoccupazione per il cibo e il rischio di abbuffate quindi non sembra opportuno proporlo come pratica alimentare. Sembra essere molto più appropriato un regime alimentare salutare, in particolare mediterraneo, ben distribuito in 3 pasti principali più due spuntini; in questo modo si previene il potenziale sviluppo di disturbi alimentari o pattern alimentari disregolati.

Un’analisi cognitiva della psicopatologia centrale dell’Anoressia Nervosa.

L’ Anoressia Nervosa è un disturbo complesso dall’eziologia ancora sconosciuta, sebbene dati di letteratura scientifica suggeriscano che derivi dall’interazione di molteplici fattori di natura genetica e ambientale. Sebbene nei soggetti affetti da Anoressia Nervosa sia presente il terrore di aumentare di peso e di diventare grassi, non è possibile concettualizzarlo come un semplice disturbo fobico per diverse ragioni. La prima è che il controllo dell’alimentazione, del peso e della forma corporea non sono solo la conseguenza della paura di ingrassare, ma sono associati ad un senso di trionfo, di superiorità, di soddisfazione, di orgoglio; la perdita di peso è spesso vissuta come un obiettivo da raggiungere a tutti i costi, una virtù, una “fonte di piacere”. Questa condizione, in cui la maggior parte dei pazienti esalta le virtù dello stato patologico adottando attivamente comportamenti di controllo del peso “ego-sintonici” (dieta rigida e estrema, esercizio fisico eccessivo, vomito auto-indotto, uso improprio di diuretici e lassativi) è molto diverso da una semplice fobia del peso.

anoressia nervosa

Il controllo del peso e della forma corporea rappresentano la psicopatologia centrale e specifica dei disturbi alimentari, mentre la fobia del peso rappresenta un’espressione secondaria del disturbo. In accordo alla teoria cognitivo-comportamentale più moderna, il cuore di tutti i disturbi alimentari sarebbe uno schema distintivo di auto-valutazione caratterizzato da un’ipervalutazione del peso e della forma corporea e del loro controllo; in altre parole chi soffre di un disturbo alimentare giudica se stesso e il proprio valore esclusivamente o in modo predominante in termini di peso, forma corporea, questo significa “valgo se e solo se raggiungo questo peso, ho questa forma corporea e se riesco a non mangiare” (Fairburn, Cooper, & Shafran, 2003). Da questa prospettiva è possibile comprendere il senso di comportamenti estremi di controllo del peso apparentemente privi di logica e le espressioni associate (es. il body checking e l’evitamento del corpo, il sentirsi grassi, preoccupazioni per la forma corporea, il cibo e il peso e la marginalizzazione di altre aree di vita), se una persona crede che il controllo del peso e del corpo sia vitale per giudicare il suo valore personale. Inoltre la restrizione dietetica e il basso peso corporeo determinano lo sviluppo di numerosi sintomi di malnutrizione, di natura sia fisica che psicologica e sociale (Calugi, Chignola, El

Ghoch, & Dalle Grave, 2018) che, a loro volta, contribuiscono a mantenere il disturbo alimentare attraverso meccanismi distinti. Ad esempio, il ritardo dello svuotamento gastrico come conseguenza della malnutrizione, produce un precoce senso di pienezza anche dopo l’ingestione di una modesta quantità di cibo; il ritiro sociale tipico di questi pazienti e secondario alla malnutrizione, intensifica l’uso del peso e della forma corporea come mezzi di auto-valutazione; e la preoccupazione per l’alimentazione secondaria alla restrizione dietetica accentua l’adozione di regole dietetiche rigide e estreme  (Dalle Grave, Pasqualoni, & Marchesini, 2011). Le abbuffate, riportate da un sottogruppo di pazienti con Anoressia Nervosa (tipo Binge-Purging) derivano dall’ipervalutazione del peso e della forma corporea e sono mantenute dal tentativo di aderire alle rigide regole dietetiche e/o gestire gli eventi esterni e gli stati d’animo negativi associati (Fairburn et al., 2003).

La terapia cognitivo-comportamentale dei disturbi alimentari (CBT-E) si basa sulla concettualizzazione descritta sopra e si pone come scopo principale quello di aiutare i pazienti a sviluppare uno schema di auto-valutazione più articolato e funzionale. Per raggiungere tale obiettivo, il trattamento usa specifiche strategie e procedure (es. auto-monitoraggio in tempo reale e la costruzione di una formulazione personalizzata del disturbo) che ha lo scopo di educare i pazienti circa i processi che stanno mantenendo il disturbo e aiutarli a smettere di identificare se stessi con il problema. I pazienti vengono incoraggiati a fare dei graduali cambiamenti comportamentali per valutare gli effetti e le implicazioni sul loro modo di pensare. Il trattamento è strutturato in modo da far sentire i pazienti in controllo, ad esempio pianificando in anticipo i pasti e introducendo in modo graduale i cibi evitati e creando un bilancio energetico positivo che determinerà un aumento di peso settimanale controllato e prevedibile. Essendo in grado di predire gli effetti sul peso di quello che mangeranno, i pazienti saranno più in grado di tollerare l’ansia associata con il recupero del peso e l’inserimento dei cibi evitati. Il trattamento prevede la collaborazione di più figure professionali; oltre allo psicoterapeuta specializzato spesso è necessaria la collaborazione con dietisti esperti  di riabilitazione nutrizionale di pazienti con disturbo alimentari e, in alcuni casi, può essere utile un supporto farmacologico. Il lavoro di squadra aiuta a raggiungere risultati importanti nell’attaccare un disturbo che è tra i più resistenti al cambiamento.

 

Binge eating, perfezionismo e ansia sociale

Il binge eating, il consumo incontrollato di una grande quantità di cibo in un arco di tempo di due ore, è un sintomo diffuso nei disturbi alimentari, che può avere effetti dannosi sulla salute fisica e mentale delle persone, come un aumentato rischio di obesità e di altri disturbi psichiatrici. E’ un sintomo chiave sia della bulimia nervosa che del disturbo da alimentazione incontrollata, o binge eating disorder in inglese, ma può essere presente anche nell’anoressia nervosa o in altri disturbi della nutrizione o dell’alimentazione, in accordo con il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (APA; DSM-5, 2013). Una migliore comprensione dello sviluppo e del mantenimento delle abbuffate è importante per ridurne gli effetti negativi e, inoltre, questo potrebbe contribuire alla prevenzione e al trattamento dei disturbi alimentari. La ricerca ha evidenziato che diversi fattori cognitivi, affettivi, psicologici e di personalità rappresentano dei fattori di rischio per lo sviluppo di questi disturbi e contribuiscono al loro mantenimento. Un modello che spiega lo sviluppo e il mantenimento delle abbuffate afferma che il perfezionismo porta gli individui a impegnarsi in una dieta rigida ed estrema che, a sua volta, provoca le abbuffate (Sherry & Hall, 2009; Mackinnon et al., 2011). Secondo questo modello la relazione tra perfezionismo e binge eating è mediata dalla dieta restrittiva, ovvero la tendenza a ricercare rigidamente la perfezione e a non tollerare l’errore o “il meno perfetto” è probabile che porti le persone a impegnarsi nella dieta seguendo regole rigide, estreme e numerose che prevedono l’esclusione di alcuni cibi (definiti “tabù” perchè potenzialmente ingrassanti), rigidi limiti calorici, il digiuno, il mangiare entro una certa ora, e così via, che porteranno inevitabilmente all’abbuffata, per fame, per desiderio impellente (craving) di tutto ciò di cui è stato privato forzatamente l’organismo, soprattutto se in contemporanea si verificano eventi che provocano emozioni negative, le quali vengono gestite attraverso l’abbuffata. IL perfezionismo può essere definito come un tratto di personalità (una caratteristica stabile delle persone) che caratterizza quelle persone che si sforzano di ottenere il livello più alto possibile di standard e aspettative, evitando contemporaneamente errori e imperfezioni. Per una persona perfezionista, la dieta può essere un comportamento da seguire secondo degli standard rigidi di perfezione e dove l’immancabile fallimento delle aspettative (es. “avrei dovuto evitare il dolce, invece non ho resistito, tanto vale che mi abbuffi e mangi tutti i dolci del buffèt”) scatena l’abbuffata, come tentativo di scappare da uno stato emotivo interno spiacevole e doloroso. Pertanto la restrizione dietetica indurrebbe le abbuffate attraverso una deprivazione percepita che porta a un’ iperalimentazione compensatoria. A questo proposito è utile distinguere due tipi di restrizioni dietetiche: una restrizione dietetica calorica (assumere con la dieta un contenuto calorico al di sotto del fabbisogno fisiologico) e una restrizione dietetica cognitiva (le regole alimentari che devono essere seguite). Questa seconda caratteristica, sebbene possa essere associata a un normopeso e/o  a un regime alimentare non restrittivo da un punto di vista calorico/alimentare, è un fenomeno cognitivo che riveste un ruolo importante nel mantenimento delle abbuffate e pertanto deve essere affrontato e ridotto nel trattamento.

Un altro fattore che potrebbe essere rilevante per il binge eating è l’ansia sociale. La letteratura scientifica supporta l’associazione tra disturbi alimentari e ansia sociale. Otrovsky et al. ( 2013) hanno trovato che  individui obesi con un disturbo da alimentazione incontrollata (DAI) avevano più elevate percentuali di ansia sociale in comorbidità rispetto alla popolazione generale o a individui obesi senza  DAI.

Una specifica forma di ansia sociale che è stato dimostrato essere associata sia alla bulimia nervosa che all’anoressia è l’ansia per il proprio aspetto sociale, ovvero il timore di un giudizio globale sul proprio aspetto che sembra influenzare e mantenere nel tempo il disturbo e che quindi deve essere discusso all’interno di un trattamento  (Dakanalis et al., 2016; Levinson & Rodebaugh, 2012; Levinson et al., 2013).

La terapia cognitivo-comportamentale rappresenta il gold standard per il trattamento di questi disturbi, affrontando i meccanismi cognitivi, affettivi e comportamentali che mantengono i sintomi del disturbo. Accanto a fattori comuni a tutti coloro che hanno un disturbo alimentare (dispercezione corporea, restrizione dietetica alimentare e/o cognitiva, check del peso e del corpo, sensazione di grassezza, pensieri distorti sul cibo, peso e corpo, ecc) ci sono differenze individuali legate a specifici tratti o veri e propri disturbi di personalità in comorbidità, livelli diversi di gravità nella regolazione emotiva, nel controllo e perfezionismo che devono essere prese in considerazione sia per poter individualizzare il più possibile il trattamento, sia per poter regolare la relazione terapeutica e lavorare anche in ottica di prevenzione delle ricadute nel lungo periodo.

 

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