Psicologa Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale Pisa e provincia

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L’ortoressia nervosa: l’ossessione per il cibo sano

Sta sempre più crescendo l’interesse pubblico e mediatico verso stili di vita salutari, corrette abitudini alimentari, che sono utili per migliorare il benessere e contrastare l’obesità, sempre più diffusa in Italia anche in infanzia e adolescenza. Accanto a una corretta informazione scientifica, esistono anche contenuti mediatici lanciati da celebrità o presunti esperti che invitano a diete prive di latticini, glutine, carboidrati, ecc. che possono influenzare in modo negativo le abitudini alimentari delle persone e quindi destano preoccupazione.

Sta crescendo sempre più l’interesse verso una vera e propria condizione patologica, sebbene non sia inserita nelle diagnosi del DSM-5 (APA, 2013) e dell’ICD-11, che è l’ortoressia, una condizione caratterizzata da un’ossessione per il cibo sano, pulito, decontaminato, biologico, che porta a isolamento sociale, sensi di colpa, ansia e frustrazione se per qualche ragione il soggetto è impossibilitato a cibarsi dei cibi prescelti. La rigidità che caratterizza le scelta alimentare di questi soggetti comporta l’investimento di una grande quantità di tempo per pianificare e preparare i pasti, sensi di colpa se si mangia in modo “non salutare”, evitamento di pasti fuori casa, esclusione di molti cibi che può portare anche a malnutrizione per difetto. Rispetto alle diagnosi ufficiali dei disturbi alimentari (Bulimia, Anoressia, BED), l’ortoressia nervosa sembra essere più equamente distribuita tra uomini e donne. Inoltre, a differenza di altri DCA, ad essere centrale in questa malattia è la qualità del cibo e non tanto la quantità, lo scopo non è tanto la magrezza, ma la purezza del cibo e la propria salute fisica. Le preoccupazioni per la forma del corpo sono meno prominenti. Condivide con l’AN e con il disturbo ossessivo-compulsivo, l’ansia e il perfezionismo. Questo ultimo aspetto rappresenta un fattore di rischio per l’ortoressia dal momento che, se per seguire una dieta salutare è necessario avere auto-controllo, la persona perfezionista adotterà regole molto rigide, che caratterizzano i soggetti ortoressici.

Anche l’ansia è considerata un fattore di rischio per l’ortoressia nervosa, dal momento che i soggetti affetti hanno preoccupazioni intense sulla propria salute fisica e sono terrorizzati all’idea di consumare cibo poco salutare. L’ansia per la salute è stato ipotizzato come un fattore correlato e predittivo dell’ortoressia nervosa (Kiss-Leizer et al., 2019; Tóth‐Király et al., 2020).  In questo senso i sintomi ortoressici potrebbero essere concettualizzati come meccanismi di coping per l’eccessiva preoccupazione per lo sviluppo di malattie. Sembra essere pertanto presente una relazione tra ansia per la salute, perfezionismo e ortoressia.

Data la gravità della condizione è fondamentale richiedere aiuto ad un professionista esperto di disturbi alimentari qualora ci sia il sospetto di soffrire di questa malattia che può deteriorare la salute fisica, aspetto centrale in questi soggetti, a causa della mancanza di nutrienti e dell’esclusione di molti cibi fondamentali dalla dieta. Inoltre la relazionalità è spesso limitata se non evitata totalmente a causa della difficoltà ad adattarsi flessibilmente a mangiare cibi diversi da quelli considerati “sani”. Al momento attuale la terapia cognitivo-comportamentale per i DCA è il golden standard.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La sindrome da alimentazione notturna

La sindrome da alimentazione notturna (Night Eating Syndrome; NES) è un disturbo inserito nella sezione dei Disturbi della Nutrizione e della Alimentazione del DSM-5 (APA, 2013) tra i disturbi alimentari con altra specificazione. Descritta per la prima volta nel 1955 da Albert Stunkard come un disturbo caratterizzato da alimentazione eccessiva durante le ore serali e durante la notte, umore basso durante la sera, insonnia e anoressia mattutina. I criteri diagnostici includono: 1) assumere più del 25% delle Kcal giornaliere dopo cena o avere almeno due episodi di alimentazione notturna alla settimana. I pazienti devono ricordare e descrivere gli episodi. Inoltre devono essere presenti almeno tre dei seguenti sintomi: frequente inappetenza mattutina, spinta a mangiare nel periodo che va da dopo cena a prima di coricarsi o durante la notte, insonnia, convinzione che mangiare aiuti a riprendere il sonno e umore che peggiora nella sera. Il disturbo causa notevole stress e una riduzione dell’efficienza quotidiana e deve durare almeno tre mesi. Devono essere escluse cause mediche, farmacologiche, uso di sostanze o altri disturbi psichiatrici che possono spiegare i sintomi. E’ un disturbo piuttosto comune, la prevalenza è di circa 1.1-1.5% della popolazione, di cui un range che va dal 6 al 16% soffre di obesità e una percentuale che va dal 5 al 44% soffre di disturbi alimentari in comorbidità. L’intento di questo articolo è quello di sintetizzare la letteratura scientifica sull’argomento in particolare in merito alle possibili cause e ai potenziali trattamenti disponibili, tenendo in considerazione i dati ancora scarsi e i campioni di studio non sempre rappresentativi poichè poco numerosi.

Per quanto riguarda possibili meccanismi causali, gli studi di Stunkard (2009) hanno messo in luce delle alterazioni nel ritmo circadiano (che regola funzioni come l’appetito, la secrezione ormonale, il sonno, la sazietà, la temperatura corporea); i soggetti affetti da NES mostrano un ritardo nella secrezione di grelina, leptina e cortisolo, che giocano un ruolo cruciale nel controllare appetito, sazietà e sonno. Questa disregolazione nel ritmo sonno-veglia e nell’appetito, porta ad un’assunzione eccessiva di cibo nelle ore serali e notturne, compromettendo la qualità del sonno e riducendo l’appetito durante il giorno.

Sono state ipotizzate anche alterazioni ormonali come una maggiore quantità di cortisolo, causato da stress cronico che, da un punto di vista biologico, si associa a una maggiore fame e assunzione di cibo, soprattutto ad alto contenuto di zuccheri e grassi e a una riduzione del sonno. Gli individui affetti da NES spesso riportano che i sintomi sono comparsi a seguito di un periodo altamente stressante.

Per quanto riguarda i fattori psicologici implicati nella NES, la ricerca ha messo in luce una elevata comorbidità tra NES  e altre psicopatologie, in particolare depressione, disturbi d’ansia e disturbo da uso di sostanze. Queste comorbidità riguardano in generale tutti i disturbi alimentari. Sono presenti comorbidità tra NES e altri disturbi alimentari, in particolare il BED. Le presentazioni in comorbidità rendono più complessi i trattamenti.

La regolazione emotiva può essere descritta come un insieme di capacità che coinvolgono. 1) la capacità di accettare ed essere consapevoli delle proprie emozioni 2) DI rimanere focalizzati sull’obiettivo inibendo i comportamenti impulsivi quando le emozioni negative aumentano; 3) usare strategie appropriate per modulare l’intensità o la durata dell’esperienza emotiva. Una buona regolazione emotiva si associa a una buona sapute psicologica, a un buon funzionamento relazionale, mentre difficoltà in quest’area spesso correlano con un rischio maggiore di soffrire di disturbi mentali, tra cui i disturbi alimentari. Le abbuffate e le restrizioni sono considerate strategie di coping maladattive di evitamento o di soppressione di stati emotivi dolorosi che non vengono identificati e regolati in modo funzionale. Invece di fronteggiare gli stati emotivi dolorosi, chi soffre di DCA tende a evitarli e sopprimerli, aumentando il rischio di ricadute e peggiorando le condizioni psicologiche. La NES potrebbe essere inquadrata come un meccanismo di coping di stati mentali dolorosi legati ad altri aspetti del proprio funzionamento psicologico/personologico che vengono attivati da situazioni esterne (relazionali, lavorative, ambientali). Gli episodi di alimentazione notturna potrebbero fornire un sollievo momentaneo da stati dolorosi, alterando però il ritmo circadiano e provocando ulteriore stress (colpa, vergogna) nel lungo termine.

Sono stati inoltre individuati due tratti di personalità come possibili fattori di rischio coinvolti in diversi disturbi mentali tra cui quelli alimentari: il neuroticismo (tendenza a sperimentare emozioni negative, insicurezza e vulnerabilità) e l’impulsività (spesso correlata con comportamenti rischiosi, come uso sostanze e perdite di controllo sul cibo come le abbuffate). Gli individui con più alti livelli di impulsività potrebbero essere più a rischio di sviluppare abbuffate notturne.

E’ utile fare una distinzione tra  BED e NES, sebbene possano presentarsi in comorbidità. Se nel BED è possibile che possano avvenire episodi di abbuffata nella notte o dopo cena, questa peculiarità temporale non è una caratteristica centrale del BED, dove gli episodi di alimentazione eccessiva e discontrollata avvengono perlopiù durante il giorno. Inoltre nel BED la quantità di cibo consumata durante le abbuffate è significativamente più elevata rispetto alla NES, le preoccupazioni per la forma del corpo e del peso sono più intense nel BED, non ci sono alterazioni nel ritmo circadiano.

L’insonnia, in genere iniziale e centrale, è correlata alla NES, pertanto è necessario tenerla in considerazione nel trattamento di questi pazienti. L’insonnia e i disturbi del sonno possono precedere il disturbo alimentare o questo può essere un trigger di difficoltà del sonno. La diagnosi differenziale con disturbi alimentari-legati al sonno come lil Night Sleep-Related Eating Disorder (NS-RED)  viene fatta tenendo conto conto della consapevolezza e memoria degli episodi di alimentazione notturna, laddove nella NES c’è il ricordo, nel NS-RED, gli episodi di abbuffata avvengono a seguito dei risvegli notturni, ma in assenza o con scarsa consapevolezza da parte del soggetto.

Per quanto riguarda il trattamento, la terapia cognitivo-comportamentale è stata proposta come un trattamento empiricamente supportato che può dare buoni risultati. La scheda di auto-monitoraggio per identificare la relazione tra l’alimentazione, i pensieri e  le emozioni è molto utile, così come l’apprendimento di strategie di regolazione emotiva adattive. La ricerca dovrà darci ulteriori risposte in merito ai fattori causali e ai trattamenti più efficaci.

 

 

 

 

 

Social media, immagine e corporea e sintomi alimentari

I disturbi alimentari sono un gruppo eterogeneo e molto invalidanti di condizioni psichiatriche che danneggiano in modo significativo il funzionamento psicologico e sociale della persona che ne soffre. Caratterizzati da un’alterazione dell’immagine corporea e preoccupazioni intense legate all’alimentazione e al peso, si manifestano con comportamenti alimentari persistenti e disfunzionali. Avere un disturbo alimentare aumenta la probabilità di soffrire di qualche disabilità medica (malattie cardiovascolari, ridotta densità ossea, ecc) e psichiatriche in comorbidità (ansia, depressione, sintomi ossessivi, ecc). L’anoressia nervosa è il disturbo psichiatrico con il tasso più elevato di mortalità (per suicidio o grave denutrizione).  L’incidenza più elevata la troviamo nei giovani adolescenti, soprattutto donne, anche se stanno aumentando i casi di adolescenti maschi ossessionati dal corpo, dai muscoli o dalla magrezza. Si riscontrano aumenti anche negli atleti e nelle minoranze di genere e sessuali.

Rispetto ai fattori di rischio implicati, non ne esiste uno solo, ma un complesso eterogeneo di fattori biologici, sociali, psicologici che creano una vulnerabilità allo sviluppo di un DCA. Tra questi fattori, l’immagine corporea è stata individuata dalla ricerca come uno dei predittori più potenti di sintomatologia alimentare. Essa riguarda il modo in cui pensiamo, sentiamo e agiamo nei confronti del nostro corpo e raramente è una fedele riproduzione dello schema corporeo, piuttosto gli individui con DCA tendono a guardarsi con la lente dei dismorfismo, trovando molti difetti, sentendosi grassi e orribili. Il tentativo di correggere i difetti percepiti nel corpo spinge le persone a intraprendere diete rigide.

Una revisione recente della letteratura su social media, immagine corporea e disturbi alimentari clinici e subclinici  nei giovani adolescenti, ha cercato di rispondere al quesito se i social media possono essere un fattore di rischio plausibile per lo sviluppo di disturbi dell’immagine corporea e problemi alimentari, considerando che attualmente l’uso dei social media è aumentato in modo esponenziale nei giovani, a livello globale. Studi recenti hanno stimato che che il 91% dei ragazzi americani e britannici usano regolarmente i social media e che più della metà li controllino almeno una volta ogni ora. La review ha concluso che un alta frequenza nell’uso dei social è correlata a insoddisfazione corporea, attraverso due fattori di mediazione che sono i confronti sociali con corpi magri ideali e l’interiorizzazione dell’ideale di magrezza del corpo. In modo particolare piattaforme focalizzate sull’apparenza, come Instagram, sono significativamente associate a preoccupazioni sull’immagine corporea, patologie alimentari, ansia e depressione.

Possiamo trovare alcune spiegazioni di questa associazione partendo da alcune teorie che sono state proposte:

  1. Teoria socio-culturale: postula che gli agenti sociali (pari, famiglia, società) trasmettono un forte bisogno di conformarsi agli ideali estetici della società. Confronti online con corpi ideali porta a interiorizzare questo standard perfezionistico che favorisce l’adozione di diete e l’istaurarsi di circoli viziosi restrizioni-abbuffate.
  2.  Auto-oggettivazione  e teorie femministe: l’ipotesi è che in una società ossessivizzata dall’apparenza, le donne sono educate a interiorizzare una prospettiva di osservazione di sè in terza persona, che le spinge a un continuo check del corpo, insoddisfazione corporea e sintomi alimentari. I social offrono opportunità di postare immagini di sè che sono soggette a feedback e controllo (like, commenti).
  3. Gestione dell’impressione: teoria che ipotizza che i social danno l’opportunità alle persone di creare un’immagine ideale di sè online, sfruttando i vari filtri e ritocchi e la discrepanza tra questa e l’immagine reale favorisce l’aumento di preoccupazioni estetiche e a tentativi di correzione attraverso diete e altri mezzi.

 

Quanto emerso da questa review invita tutti a una riflessione importante che chiama in causa le figure sanitarie e le istituzioni che a vario titolo si occupano di normare e sensibilizzare/educare la popolazione. L’uso dei social è aumentato e non si fermerà, ma certo è possibile guidare i ragazzi ad un uso consapevole e critico, così come è importante lavorare per chiudere profili e account che favoriscono il diffondersi di immagini e informazioni pericolose per la salute psichica e fisica soprattutto degli adolescenti, che sappiamo essere una categoria vulnerabile.

 

 

ragazza che si abbuffa di fronte a abbondanza di cibo

Il ruolo dell’eccessiva valutazione del peso e del corpo nel Binge Eating Disorder

Non tutte le persone in forte sovrappeso o affette da obesità hanno un disturbo alimentare in comorbidità.

I disturbi alimentari (DCA), qualsiasi sia la diagnosi, sono caratterizzati da un nucleo psicopatologico specifico che è l’eccessiva valutazione di peso e forma del corpo; tali aspetti influenzano in modo pervasivo autostima, identità e comportamento. La letteratura scientifica ha messo in evidenza come ci siano differenze significative tra persone affette da obesità senza DCA e persone affette da binge eating disorder (BED) e obesità, in termini di gravità dei sintomi alimentari (abbuffate e alimentazione eccessiva e discontrollata) e di sintomi psichiatrici (ansia, depressione, ecc).

Una review recente (Melisse & Dingemens, 2025) che ha analizzato gli studi sull’argomento, ha tratto diverse conclusioni: i livelli di ipervalutazione di peso e forma del corpo per gli individui con un indice di massa corporea similmente alto, era più alto in quelli con BED rispetto a quelli con obesità senza DCA. Gli individui con BED condividevano con anoressia e bulimia nervosa gli alti livelli di distress psicologico legato alle eccessive preoccupazioni sul peso e sul corpo. Per questa ragione gli autori suggerirebbero di inserire tra i criteri diagnostici del BED l’eccessiva influenza che peso e corpo hanno sui livelli di autostima, criterio già presente nell’AN e BN sia nell’ICD-11 sia nel DSM-5 e importante perchè predice la gravità della patologia alimentare e della psicopatologia in comorbidità. In questo modo è possibile indirizzare il trattamento in modo più specifico, distinguendo i problemi legati al peso e all’alimentazione che non coinvolgono temi identitari legati all’autostima, da quelli che si strutturano come un vero e proprio disturbo alimentare.

 

 

 

La terapia dello specchio e i suoi effetti sul miglioramento dell’insoddisfazione corporea

Viviamo in una società, quella occidentale, dove l’attenzione all’aspetto fisico è particolarmente estesa ed evidente a tutti. Preoccuparsi della propria immagine esteriore è una normale caratteristica umana, siamo “animali sociali” e desideriamo piacere ed essere attrattivi, non solo per avere più chance quando incontriamo qualcuno che ci piace, ma anche per essere apprezzati, ammirati, guardati con piacere. La grande diffusione dei mass media prima e dei social media poi ha ulteriormente accentuato questo fenomeno, aumentando le opportunità (oggi anche digitali) di fare confronti costanti con il corpo degli altri.

La società stabilisce quali sono i criteri di fisicità e magrezza ideali che poi trasmessi ai singoli individui dalle loro famiglie, dal gruppo dei pari, dai mass media influenzando il rapporto e la soddisfazione verso il proprio corpo. I fattori culturali non solo gli unici a influenzare la soddisfazione corporea, un’altra variabile importante è l’autostima. Più è bassa e più la persona si sente in ansia al contatto con gli altri (per timore di ricevere giudizi sul corpo, di essere esclusa/rifiutata), più è alla ricerca costante di approvazione, più uscirà ferita da un eventuale valutazione o commento negativo sul suo aspetto e più tenderà a concentrarsi, senza via di uscita, sulla correzione dell’aspetto fisico, senza considerare che sta solo cercando un rimedio a qualcosa di molto profondo come il valore personale. Gli adolescenti sono più a rischio di sviluppare insoddisfazione corporea ed anche disturbi alimentari dato il particolare periodo evolutivo della pubertà che li espone a cambiamenti fisici non sempre accettati o in linea con standard estetici ampiamenti interiorizzati. E’ questo il periodo in cui troviamo la massima incidenza dei disturbi alimentari spesso preceduti da un disagio forte nei confronti del proprio corpo, che può portare a un’eccessiva attenzione a certe parti del corpo (quelle odiate) e a numerosi problemi fisici e psicologici, tra cui depressione, ansia, comportamenti eccessivi che hanno lo scopo di correggere i difetti fisici (diete rigide, chirurgia estetica, eccessivo esercizio fisico, tempo prolungato trascorso a truccarsi, sistemarsi, a scapito di altre attività, uso indiscriminato di prodotti farmaceutici o da banco con presunte proprietà dimagranti, uso di lassativi e diuretici, ecc).

Trattare il disturbo dell’immagine corporea è molto importante perchè  è ampiamente riconosciuto come un potente fattore di rischio, di mantenimento e di ricaduta dei disturbi alimentari (Sanchez et al., 2024). La terapia dello specchio è un intervento che la letteratura scientifica suggerisce come efficace per affrontare questo aspetto e prevede 6-7 sessioni di circa 40 minuti in cui il paziente è invitato dal terapeuta a porsi di fronte a uno specchio con le ali (che permetta anche la visione posteriore del corpo) e a osservare il proprio corpo nella sua interezza insieme ai pensieri, i sentimenti, le sensazioni fisiche che potrebbero emergere, mentre continua a tenere l’attenzione sulle diverse parti del corpo. Il paziente valuta il livello di disagio verso il corpo prima e dopo l’esposizione in ogni sessione in modo da verificare i cambiamenti avvenuti. Quello che osserviamo è che, sebbene vengano usate metodologie un pò differenti nei vari studi, c’è una relativa convergenza nel valutare questo trattamento come efficace nel ridurre l’insoddisfazione corporea, nel favorire uno spostamento dell’attenzione anche alle parti del corpo che piacciono, quindi a osservarlo in modo più globale e meno selettivo, nell’aumentare i pensieri positivi verso il corpo e nel ridurre quelli negativi e nel renderli meno severi e critici, ad esempio passando da “odio il mio corpo” a “non mi piace la mia pancia, ma posso migliorare”.

Non dobbiamo mai sottovalutare l’importanza di lavorare sull’immagine corporea nel trattamenti dei disturbi alimentari, perchè oltre ad avere un ruolo nella loro insorgenza, ne ha uno altrettanto importante nel determinare le ricadute.

 

ragazza che si abbuffa di fronte a abbondanza di cibo

Obesità e disturbi dell’alimentazione

L’obesità è una condizione medica cronica diffusa in tutto il mondo, soprattutto quello occidentale, spesso associata a complicanze mediche di una certa gravità e a mortalità prematura. Si definisce sulla base dell’indice di massa corporea (BMI≥30). E’ stato stimato che i grandi obesi rischiano di morire circa 20 anni prima; l’obesità è responsabile di più di 2,5 milioni di morti all’anno in tutto il mondo (WHO, 2002). Oltre ai rischi per la salute fisica, questa condizione medica è associata anche a una ridotta qualità di vita e a compromissioni della salute psicologica e sociale. Il pattern alimentare delle persone affette da obesità è caratterizzato dalla dieta e da un rigido controllo dell’alimentazione per un certo periodo, interrotto ripetutamente da perdite di controllo sul cibo con le abbuffate, alimentazione compulsiva, ma anche da alimentazione eccessiva non compulsiva con cibi e bevande altamente calorici.

L’obesità è una condizione con eziologia multifattoriale, fattori genetici, comportamentali, culturali  e sociali sono alla base del suo sviluppo. Detta più semplicemente è necessario avere una predisposizione genetica all’obesità per poterla sviluppare, ma perchè si manifesti davvero sono necessarie altre condizioni, tra cui uno stile di vita non sano improntato alla sedentarietà e ad un eccessivo introito energetico. I nostri antenati, cacciatori-raccoglitori, sono stati programmati per poter sopravvivere alle carestie; coloro che riuscivano ad assimilare e conservare energie nei periodi di fame sopravvivevano alla selezione naturale. Questi geni sono in parte responsabili del sovrappeso e dell’obesità diffuse.

La domanda che mi voglio porre in questo articolo è la seguente: l’obesità può essere considerata un disturbo alimentare? La risposta è no. Ci sono differenze ma anche intersezioni tra le due condizioni; in una percentuale non trascurabile di casi le due condizioni si sovrappongono nella stessa persona, giustificando la diagnosi di disturbo da alimentazione incontrollata, ma non sempre è così. In molti altri casi le differenze tra obesità e disturbi alimentari sono marcate; nel primo caso la distribuzione tra i sessi e le varie età è pressocchè identica, mentre nel secondo la prevalenza è più alta nel genere femminile e in età adolescenziale. Inoltre,  nell’obesità è necessario promuovere un controllo costante dell’introito calorico e del peso corporeo, mentre nei disturbi alimentari è necessario contrastare la sorveglianza continua di questi aspetti.

Le cure sia nell’obesità, sia nei disturbi alimentari devono essere multidimensionali, multiprofessionali, attente  al versante nutrizionale, alle complicanze mediche e ai fattori psicologici e socio-ambientali.

Ad oggi, il trattamento d’elezione, empiricamente supportato, per l’obesità associata al disturbo da alimentazione incontrollata è la terapia cognitivo-comportamentale, la CBT-OB (Disturbo da Binge-Eating associato all’Obesità), che coniuga insieme lo scopo di aumento del controllo sull’alimentazione e cessazione delle condotte di abbuffate e la perdita di peso necessaria per la salute. Il trattamento prevede 6 mesi di trattamento intensivo mirato al cambiamento nello stile di vita (dieta moderatamente restrittiva basata sui principi della dieta mediterranea) e aumento dell’attività fisica (utilizzo del contapassi e sessioni di esercizi di tonificazione) e un anno di mantenimento del peso con follow-up mensili.

Gruppi di supporto psicologico per familiari di persone affette da un disturbo alimentare

Il Disturbo da Binge-Eating: nuove prospettive di trattamento

Il Disturbo da Binge-Eating (BED) è un disturbo dell’alimentazione caratterizzato da episodi di abbuffate oggettive non seguiti da mezzi di compenso, come vomito auto-indotto, uso di lassativi, esercizio fisico intenso o digiuno, cosa che invece caratterizza la bulimia nervosa. I tentativi di restringere l’alimentazione per modificare peso e forma del corpo tra un’abbuffata e l’altra sono meno elevati rispetto a quelli presenti nella bulimia nervosa, anche se spesso sono presenti periodi anche lunghi di dieta. L’alimentazione al di fuori delle abbuffate tende ad essere sregolata ed eccessiva, caratterizzata dall’assunzione di cibi ad alta densità calorica (ricchi di grassi saturi, zuccheri e sale), grandi porzioni, il piluccare frequentemente fuori dai pasti.6 La sensazione di perdita di controllo è l’elemento centrale delle abbuffate; la persona non riesce a smettere di mangiare una volta iniziato, anche se arriva ad essere spiacevolmente piena, nè si sente in grado di non iniziare una volta che l’impulso è partito, indipendentemente dai segnali di fame e sazietà, che risultano alterati. Le abbuffate avvengono in segreto a causa della vergogna con la quale la persona le vive. In circa il 50% degli individui con il BED è presente un’eccessiva valutazione del peso e della forma del corpo, aspetto che rende più grave il quadro psicopatologico, spesso caratterizzato da depressione, intensa autocritica, bassa autostima, disturbi psicologici in comorbidità (disturbi d’ansia, disturbo bipolare, ecc). Spesso questo disturbo si associa all’obesità, sebbene è importante ricordare che non tutte le persone affette da obesità ne soffrano, e a condizioni somatiche come malattie cardio-metaboliche, diabete di tipo 2, ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia, ipertensione arteriosa. Gli individui con BED sono angosciati dal loro comportamento alimentare, non sono contenti di come appaiono e si sentono e, spesso, hanno una bassa autostima. Queste caratteristiche possono compromettere il funzionamento psicosociale e influire negativamente sulla loro qualità di vita fisica e psicosociale.

A differenza dell’anoressia nervosa e della bulimia, dove il rapporto femmine maschi è sbilanciato a favore delle prime (9:1),  nel BED il rapporto tra i sessi è più bilanciato (6:4) e l’età d’insorgenza è mediamente più tardiva, tarda adolescenza e prima età adulta.

Fino ad oggi i trattamenti psicologici che si sono impiegati hanno portato alla remissione degli episodi di abbuffata in circa la metà dei pazienti, accompagnata dal miglioramento della sintomatologia depressiva associata e della psicopatologia del disturbo dell’alimentazione (Hilbert et al., 2019). Purtroppo il maggior svantaggio di questi trattamenti è che generalmente non producono un calo di peso significativo (Cooper et al., 2019). A questo proposito è stato proposto di recente un nuovo trattamento, che si propone di superare questi limiti aiutando le persone con BED  a raggiungere un calo di peso salutare, che varia dal 5 al 15% di calo di peso ponderale. Il trattamento è la terapia cognitivo-comportamentale del Disturbo da Binge-Eating Associato all’Obesità (CBT-BO; Dalle Grave, Sartirana, Calugi, 2020), un trattamento che mira ad individuare e intervenire sui fattori di mantenimento delle abbuffate e dell’alimentazione eccessiva e sregolata e a sull’eccesso di peso attraverso una restrizione dietetica moderata e flessibile.

 

 

Il trattamento psicologico dei disturbi del comportamento alimentare.

Con disturbi del comportamento alimentare ci si riferisce a disturbi caratterizzati  da un’eccessiva valutazione di peso, forma del corpo e alimentazione come nucleo centrale e specifico. Questo significa che le persone che ne soffrono dipendono in modo estremo da conferme esterne per potersi attribuire un valore personale, valore che è già danneggiato prima che il sintomo si manifesti. Il punto è proprio questo, la ricerca estenuante di un certo peso, di una certa forma del corpo e di una dieta alimentare auto-imposta rigida ed estrema, sono tutti tentativi, per loro stessa natura fallimentari oltre che nocivi, di correggere una immagine nucleare di sè negativa, di scarso valore personale, di indegnità, non amabilità. Questo meccanismo non può avere fine se non attraverso un trattamento psicoterapico specifico dove si va a lavorare proprio sull’immagine interna danneggiata, perchè è quella che genera dolore e che spinge a mettere in atto tentativi di coping che si autoperpetuano, rafforzando l’illusione che solo attraverso una dieta migliore, un maggior impegno, una ferrea volontà il dolore scomparirà. La verità è che al dolore si aggiunge altro dolore, quello che deriva dal sottopeso (nell’anoressia nervosa) con tutti i sintomi da malnutrizione, dalle abbuffate (un esito frequente di periodi di grande restrizione) o il sintomo principale se si soffre di Binge Eating e Bulimia Nervosa, dalla rinuncia a tutte quelle dimensioni dell’esistenza che danno gioia, vitalità e piacere come le relazioni, gli hobbies, scopi di vita sentiti come propri.

Il lavoro con questa tipologia di pazienti prevede la presenza di uno psicoterapeuta.

 e di un nutrizionista e, nel caso di pazienti più giovani, anche di un supporto specifico per i familiari che devono apprendere gli atteggiamenti e i comportamenti più efficaci da tenere con il figlio affetto da disturbo alimentare, soprattutto nella gestione dei pasti, momenti carichi di grande stress per tutto il contesto. A seconda del livello di gravità del disturbo si può optare per un trattamento ambulatoriale, ambulatoriale intensivo o di ricovero.

Guarire si può, è un percorso complesso, impegnativo, faticoso, ma è molto più faticoso restare schiavi di un disturbo che, a poco a poco, spegne e priva della voglia di vivere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Chi sono le partner dei narcisisti? Che caratteristiche di personalità hanno?

Pur non amando le generalizzazioni, spesso fuorvianti e difficilmente applicabili alla complessità delle relazioni umane, con questo articolo proverò a delineare dei pattern relazionali che ho avuto modo di riscontrare con più frequenza nella mia pratica clinica. Esistono sia uomini che donne sofferenti a causa di relazioni non appaganti, talvolta abusanti (emotivamente), con soggetti affetti da un disturbo narcisistico di personalità dalle quali non riescono a sganciarsi, nonostante tutto.

Il primo match relazionale è quello tra narcisista e disturbo dipendente di personalità. Una classica tipologia che si forma sulla base del fatto che la persona dipendente ha convinzioni radicate di scarso valore personale e difficoltà a sostenere scopi di vita autonomi, pertanto necessita della relazione per sostenere autostima e iniziativa. Lo scenario temuto è infatti proprio l’abbandono, vissuto con terrore, al punto che si sottomette al partner in una compiacenza coatta e accetta le sue critiche e il suo disprezzo proprio per evitarlo. Il partner narcisista avrà in una relazione del genere la possibilità di esercitare il suo dominio e veder soddisfatte le sue pretese, che si alimenteranno sempre di più, anche per l’effetto che producono nella relazione, ovvero una sempre maggiore compiacenza. L’autostima già precaria della dipendente finirà per peggiorare sempre di più. La domanda chiave da fare in terapia è: Ma perché hai scelto questo partner? Perché continui a starci nonostante la sofferenza? Perché stai così male di fronte alla possibilità di perderlo, di fronte alle sue critiche, al suo silenzio, ? Come mai ha tutto questo potere dentro di te? Qua si tratta di curare la dipendenza patologica, dare valore alla propria esperienza interna.

Seconda tipologia è l’incontro tra narcisista e narcisista. Non è infrequente che si incontrino un narcisista e una narcisista che vivono momenti idilliaci della relazione (sensazione di aver trovato l’anima gemella, l’amore ideale tanto sognato, soprattutto nella fase iniziale della relazione), destinati a confrontarsi con la realtà e quindi a fare spazio a critiche feroci, litigi e distacco relazionale. Spesso la partner parla del narcisismo del compagno, senza riconoscere che ha lo stesso modo di funzionare. Anche qua si tratta di lavorare sul proprio narcisismo.

Terza tipologia quella che vede uniti in relazione narcisista e borderline. Chi è affetto da un disturbo borderline di personalità è caratterizzato da frequenti e repentine oscillazioni dell’umore che si ripercuotono nella relazione che viene letteralmente vitalizzata (cosa di cui il narcisista si nutre per non sentire il vuoto) da sentimenti di grande amore, passione, idealizzazioni, ma anche di rabbia, richieste di rassicurazioni continue che la border agisce di fronte alla paura dell’abbandono, frequentemente attivata nella relazione con un soggetto narcisista che, di tratto, tende a distaccarsi e a raffreddarsi maggiormente di fronte alle proteste della border.

Uscire da una relazione affettiva che crea sofferenza è possibile, anche se a volte è necessario per riuscirci l’aiuto di un terapeuta. Il punto è lavorare per comprendere, dare valore e legittimità alla propria esperienza interna, ai propri scopi di vita, ai propri bisogni. Riconoscere come la sofferenza di oggi è simile a quella del passato, ma si può modificare dando risposte diverse. Un primo passo da fare è quello di smettere di interrogarsi sul perché dei comportamenti del partner, dei suoi silenzi, delle sue critiche e cominciare a riportare il focus su se stessi, perché io passo così tanto tempo a chiedermi cosa ha in testa lui? Perché do così tanto potere a lui di ferirmi? Il cambiamento parte da qui….sempre…DA SE STESSI.

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