Dott.ssa Laura Marchi

Psicologa Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale Pisa e provincia

Tag: rimuginio

Il paradosso delle tecniche di rilassamento: quando invece di rilassare inducono l’ansia

tecniche di rilassamento controproducentiIl Disturbo d’Ansia Generalizzata (DAG) è caratterizzata da un rimuginio eccessivo e incontrollabile e da ansia scatenata da un ampio range di potenziali eventi negativi futuri (Newman et al., 2013).

Il rimuginio è l’aspetto centrale di questo disturbo, ma è presente anche in altri disturbi d’ansia, depressivi e disturbi di personalità.

Le tecniche di rilassamento (rilassamento muscolare progressivo, respirazione diaframmatica, ecc) vengono spesso impiegate nel trattamento cognitivo-comportamentale del DAG.

Lo scopo principale delle tecniche di rilassamento è quello di insegnare alle persone abilità di coping che le aiutino a rilassarsi rapidamente e a ridurre la risposta ansiosa. I soggetti vengono invitati ad allenarsi quotidianamente nella tecnica di rilassamento proposta dal terapeuta in seduta in modo da imparare ad applicarla nella quotidianità in risposta a eventi o stimoli fonti di ansia.

Il beneficio è quello di arrivare a una riduzione della tensione fisiologica e dell’ansia applicando la tecnica alla prima comparsa di tensione o di rimuginio, in modo da interrompere il circolo vizioso che porta all’aumento dell’ansia e della tensione fisica stesse (Borkovec and Costello, 1993; Öst, 1987).

Il rilassamento però non porta sempre a una riduzione dell’ansia, al contrario potrebbe aumentarla in certi individui. Questo aumento paradossale viene chiamato Ansia Indotta dal Rilassamento e, nella dicitura inglese Relaxation Induced Anxiety(RIA; Heide and Borkovec, 1983). Questo fenomeno è stato descritto come un picco di ansia, tensione muscolare, pensieri o immagini ansiogene in individui che si stanno impegnando in esercizi di rilassamento (Heide and Borkovec,1983; Heide and Borkovec, 1984).

E’ piuttosto singolare questo fenomeno considerando che l’ansia come esito del rilassamento è esattamente l’opposto di quello che si propone di ottenere e che i soggetti con disturbi d’ansia, che hanno più bisogno di imparare il rilassamento e quindi di ridurre lo stato ansioso, sono anche quelli più vulnerabili a risposte di ansia inaspettate.

Sfortunatamente, è stata data poca attenzione al fenomeno dell’ansia indotta dal rilassamento. Heide and Borkovec (1983) sono stati i primi a studiarlo in una ricerca dove è emerso che tra i partecipanti con tensione cronica, il 30.8% di coloro che si impegnavano nel rilassamento muscolare progressivo e il 53.8% di coloro che praticavano la meditazione sperimentavano RIA. Similmente, Norton et al. (1985) ha trovato che l’ansia indotta del rilassamento era associata con livelli più alti di rimuginio, ansia e frequenza cardiaca.

Un altro studio ha trovato che individui con livelli più alti di RIA avevano una paura più elevata di diventare ansiosi e di perdere il controllo delle loro risposte di ansia rispetto agli individui con livelli più bassi di RIA (Braith et al., 1988).

Questo fenomeno sembra predire gli esiti negativi del trattamento in termini di minore riduzione dell’ansia e della depressione a seguito di interventi che prevedono tecniche di rilassamento (Borkovec et al., 1987, Borkovec and Costello, 1993).

Ci sono dati di letteratura ad oggi ancora insufficienti sui meccanismi del RIA ma alcune ipotesi significative sono state fatte.  La prima ipotesi suggerisce che il rilassamento porta le persone a focalizzarsi sui propri stati fisiologici interni (sensazioni fisiche, emozioni) e questo potrebbe renderli più sensibili e vulnerabili alla tensione del corpo.

Come conseguenza, il rilassamento provocherebbe un’ansia indotta da un arousal più elevato, o paura della paura (Braith et al., 1988, Heide and Borkovec, 1983, Heide and Borkovec, 1984, Norton et al., 1985, Reiss, 1987). Un’ altra ipotesi è che il RIA sia il risultato della convinzione e paura degli individui ansiosi di non essere capaci di controllare le loro emozioni negative (paura di perdere il controllo sulle emozioni; Braith et al., 1988, Heide and Borkovec, 1983, Heide and Borkovec, 1984, Norton et al., 1985).

Queste ipotesi sono simili al Modello del Rimuginio di Evitamento del Contrasto (Contrast Avoidance Model of Worry; Newman and Llera, 2011, Newman et al., 2013). Mentre le precedenti teorie sul rimuginio hanno suggerito che il worry riduce l’ansia (Newman e Llera, 2011), il modello di evitamento del contrasto suggerisce che il worry aumenta le emozioni negative e che gli individui con ansia preferiscono mantenere uno statto d’animo costantemente negativo come protezione contro un aumento improvviso dello stesso (es. “se sono già preoccupato e mi sento male, non percepirò chissà quale aumento dello stato d’animo negativo, quando mi capiterà qualcosa di realmente brutto”).

In modo simile alla nozione di ansia indotta dal rilassamento, il modello suggerisce che essere in uno stato di rilassamento rende più probabile che gli individui sperimentino le emozioni negative all’improvviso, se dovessero sperimentare un evento stressante o negativo. Di conseguenza, data la paura di perdere il controllo, gli individui ansiosi continuerebbero a sentirsi in ansia durante il processo di rilassamento. In questa ottica, il RIA potrebbe essere il risultato di un contrasto negativo (tra stato rilassato e stato ansioso) e del desiderio di mantenere uno stato emozionale negativo in modo costante (Llera and Newman, 2014; Newman et al., 2018).

Gli individui con GAD, paragonati ai soggetti non affetti da disturbi d’ansia, sarebbero più sensibili e proverebbero un disagio sensibilmente maggiore nei confronti dell’esperienza di contrasto tra uno stato emotivo di rilassamento e uno negativo. Per questo motivo i soggetti con GAD preferirebbero un umore negativo a uno stato di eutimia (However, Llera e Newman, 2014, 2017); per quanto sembri paradossale, ha una sua spiegazione logica se pensiamo al fatto che per questi soggetti sentirsi bene li rende più vulnerabili a percepire il contrasto emozionale negativo, aspetto che temono perchè convinti di non poter controllare.

Per quanto riguarda il trattamento, sembra essere efficace unire sia interventi di tipo cognitivo che comportamentale. L’intervento cognitivo potrebbe essere implementato modificando la paura dei pazienti delle emozioni negative improvvise e le credenze positive sul rimuginio.

Inoltre, esponendo ripetutamente i pazienti al contrasto (es. impegnarli in lunghe sessioni di rilassamento prima di esporli a immagini negative), essi potrebbero desensibilizzare la loro avversione ai cambiamenti improvvisi dello stato d’animo da positivo a negativo.

Qualsiasi tecnica di rilassamento dovrebbe essere impiegata dai terapeuti in seduta senza essere abbreviata o stoppata, ma fino a che l’ansia non decresce.

Rimuginio ansioso

A chi non è mai capitato di rimanere ‘coinvolto’ in catene di pensieri negativi e ripetitivi senza riuscire a fermarsi?

La tendenza a rimuginare, infatti, rappresenta un’esperienza comune dell’essere umano e non è necessariamente associata a disturbi affettivi o a conseguenze negative sul benessere psicologico; ciò che tende a variare molto all’interno della popolazione generale è la frequenza e l’intensità con la quale le persone si dedicano a questa attività mentale. La distinzione tra rimuginio normale e patologico può essere fatta su base quantitativa e non qualitativa; pertanto coloro che hanno un’elevata tendenza a rimuginare si impegnerebbero con maggiore frequenza e durata in questa attività mentale, sperimentandone gli effetti negativi sullo stato affettivo e la performance, rispetto a coloro considerati ‘rimuginatori normali’. Il rimuginio rappresenta la caratteristica centrale del Disturbo d’Ansia Generalizzato, caratterizzato da ansia e apprensione eccessive, che si manifestano per la maggior parte dei giorni per almeno 6 mesi, relative ad una quantità di eventi o di attività.

Il rimuginio è definito come un processo mentale o uno stile di pensiero ripetitivo, verbale, astratto che si riferisce a possibili eventi negativi futuri e a strategie per impedire che tali minacce avvengano. Le caratteristiche centrali sono quindi la natura prevalentemente verbale del rimuginio, ovvero non sono presenti immagini mentali dettagliate.

In chi tende a rimuginare molto, sono presenti credenze cosiddette ‘positive’ sui vantaggi e l’utilità del rimuginio stesso (‘preoccuparmi mi aiuterà ad evitare pericoli o catastrofi future’) e credenze negative (la preoccupazione è incontrollabile e può essere pericolosa per la salute fisica e/o mentale; ‘se continuo a preoccuparmi in questo modo impazzirò’) e queste credenze contribuirebbero al suo mantenimento.

Alla base della tendenza a rimuginare è presente l’intolleranza all’incertezza, ovvero la difficoltà ad accettare l’assenza di certezza e la natura ipotetica probabilistica e di molti eventi della nostra vita. Chi si preoccupa eccessivamente deve continuare a farlo fino a quando l’incertezza, rispetto ad una situazione che non è ancora avvenuta ma che potrebbe verificarsi, non si è risolta, ma data la natura ipotetica ed astratta del rimuginio, risulta impossibile azzerare il dubbio e quindi smettere di rimuginare.

Alcuni ricercatori hanno sviluppato l’ipotesi che il rimuginio dipenda da differenze individuali rispetto all’intolleranza dell’incertezza, per cui coloro che sono particolarmente intolleranti nei confronti dell’incertezza, tendono a preoccuparsi maggiormente nel tentativo di risolverla.

E’ possibile intervenire da un punto di vista psicologico su questo meccanismo ricorsivo del pensiero con le più recenti tecniche di terapia cognitivo-comportamentale di terza generazione (mindfulness, detached-mindfulness, defusione cognitiva) e intervenendo sulle credenze che mantengono il rimuginio che, sebbene venga vissuto come automatico e fuori controllo dalla persona, può essere interrotto con notevoli benefici sulla quota ansiosa e sul senso di autocontrollo personale.

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